(CorSera) Pregi e difetti del libro di Luzzatto su S. Pio

  • Categoria dell'articolo:Fede e ragione

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Quello esposto nel libro di Sergio Luzzatto non è l’unico punto di vista possibile

Messori: «Padre Pio? Ho visto prodigi»

Ai sospetti hanno già dato risposta da decenni gli agiografi del frate e le perizie cliniche

di Vitttorio Messori

I l Padre Pio di Sergio Luzzatto è un libro importante e serio. Per questo, non gli rendono giustizia certe anticipazioni giornalistiche che — dalle oltre 400, fitte pagine — estrapolano «rivelazioni » e «gialli», come le richieste da parte del frate di acido fenico e di veratrina, quasi fossero le sostanze con cui procurarsi stigmate truffaldine. A questi sospetti — provenienti soprattutto da ambienti clericali — hanno già dato risposta da decenni non solo gli agiografi del frate, non solo perizie e controperizie di illustri clinici, ma anche le inchieste implacabili delle commissioni vaticane che hanno portato alla beatificazione del 1999 e alla canonizzazione del 2002. Libro serio, dicevo, che non merita presunti scoop da rotocalco; libro nato da anni di lavoro, da ricerche a tutto campo, non solo negli archivi (da cui sono emersi molti documenti inediti) ma anche nel fall out mediatico e magari spettacolare del «fenomeno padre Pio». Una serietà di indagine — unita a un gusto gradevole per la divulgazione che non disdegna l’aneddoto e la curiosità — di cui sarebbe sleale sospettare, basandosi solo su sviste sorprendenti: ad esempio, la veggente di Lourdes, Bernadette, indicata sempre e solo come Soupirous e non Soubirous, come sanno non gli specialisti, ma tutti i milioni di pellegrini alla grotta dei Pirenei.

Ci voleva, dunque, un ancor giovane ma già temprato studioso di tradizione ebraica per riempire una lacuna di informazione sul francescano che Luzzatto stesso (pur parlando di boutade, ma non troppo) definisce «l’italiano più importante del secolo scorso». In ogni caso come risulta da ogni indagine, il più pregato, accanto a Giovanni XXIII, oggetto anch’egli di un vastissimo culto popolare. È uno dei paradossi o, se si vuole, dei molti enigmi di questa storia: sono accomunati nella devozione della gente — e nella quasi contemporanea elevazione agli altari — il «Papa buono » e «lo stigmatizzato del Gargano», i cui rapporti furono o nulli o, addirittura, di «persecuzione» da parte di un pontefice dal polso ferreo sotto l’aspetto bonario. Luzzatto non ha torto nel rivendicare di avere colmato un vuoto: da una parte una vastissima, ripetitiva, spesso acritica produzione editoriale di devoti; dall’altra, gli scherni e le sbrigative liquidazioni di un anticlericalismo come quello dei pamphlet che vanno oggi per librerie. E dai quali Luzzatto prende subito le distanze, indicando esplicitamente, come esempio da evitare, le invettive goliardiche di un ex seminarista enragé come Piergiorgio Odifreddi.

Un vuoto riempito, dunque. Ma come? Certamente non solo con un lavoro lungo e tenace, ma con una pietas e un rispetto lodevoli. Ci sarà tempo e luogo per confrontarsi, e magari dissentire, sulla documentazione, di prima mano ma utilizzata secondo un taglio «politico» (che si annuncia sin dal sottotitolo) che fa l’interesse del libro per i laici, ma che è estraneo alla prospettiva del santo e della folla dei suoi devoti. Una incomprensione di un certo modo di sentire e di vivere la fede cattolica che, peraltro, non è certo rimproverabile a uno storico della formazione di Luzzatto. Sembra poco presente, qui, la consapevolezza della «ambiguità» necessaria nelle cose cristiane dove, per preservare la libertà di accettare o di rifiutare, sempre vige la dialettica rilevata da Pascal: «Abbastanza luce per credere, abbastanza buio per dubitare». Alter Christus secondo i devoti, Padre Pio condivide la sorte di Gesù stesso, considerato dalla nomenklatura del tempo un impostore, un falso Messia, oltre che «un ghiottone e un bevitore».

In ogni caso, Luzzatto si è accorto e, lo scrive, che «padre Pio è ormai ovunque», che non possiamo più prescindere dalla presenza enigmatica di un frate che pur non si mosse, per mezzo secolo, da un disadorno convento nel Sud più profondo. È ovunque: nelle gigantografie dei Tir sulle autostrade e nelle cornicette d’argento sui tavoli dei Vip, nel borsellino della massaia e nel portafoglio del professore. C’è, qui, il mistero di una presenza carismatica che stringe da vicino una infinità di vite. La mia stessa, alla pari di innumerevoli altre, magari con piccoli prodigi dove brillano l’attenzione e la misericordia per le cose quotidiane. Se è lecito, dunque, (e per capire), un aneddoto personale. Una spastica grave che non ho mai visto di persona ma con la quale intrattengo da decenni un rapporto epistolare, molto imparando dal suo sensus fidei. La sua desolazione, anni fa, per il ritardo nel ricevere posta, a causa di miei viaggi e di superlavoro, il suo rivolgersi a padre Pio, di cui è ovviamente devota, e l’immediato, forte profumo di fragola che è per lei il segno di essere stata ascoltata. Il mattino dopo, ecco la lettera. Ma, dall’annullo sul francobollo, risultava spedita il giorno stesso, soltanto un’ora prima: e tra le nostre case corrono più di 300 chilometri. L’esclusione, da parte del direttore dell’ufficio, che fosse possibile un errore nel timbro, errore impensabile ma che, comunque, avrebbe portato a un ritardo, non a un anticipo della data. Poco tempo dopo, una mia visita a un convento lombardo di cappuccini, l’incontro con un vecchio frate che fu a lungo segretario del Santo, sul Gargano. Al racconto dell’episodio, nessuna sorpresa ma un gesto di condiscendenza: «Roba normale, niente da stupirsi. Quando aveva una lettera che gli stava a cuore, mi diceva di metterla nella buca in piazza: ma al recapito provvedevano gli angeli custodi. Un’ora dopo, puntualmente, arrivava».

Che fare, con un tipo così? Studiarne la storia, certo, ma consapevoli che c’è, qui, una meta-storia che, per dirla col Vangelo «è rivelata ai piccoli e ai semplici ed è nascosta ai sapienti del mondo».

CorSera 26-10-2007