(CorSera) La vera storia dei templari

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«I templari» di Barbara Frale
in uscita da Il Mulino (pagine 193, euro 11,50).

 IL 18 marzo del 1314, a Parigi, sull’isola della Senna …



IL 18 marzo del 1314, a Parigi, sull’isola della Senna davanti ai Giardini reali, Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro dei Templari, e Geoffroy de Charny, precettore di Normandia, vengono bruciati sul rogo come eretici. Sette anni dopo il suo inizio (all’alba del 13 ottobre 1307 tutti gli uomini dell’ordine residenti in Francia erano stati arrestati su ordine del re Filippo il Bello; dovevano rispondere alle accuse di eresia, bestemmia, sodomia, idolatria), il processo ai Templari celebrato dal tribunale di Parigi si chiude con un colpo di mano del re che, senza attendere la sentenza, fa giustiziare Molay e Charny. Così finisce la storia dei Cavalieri del Tempio, durata poco meno di due secoli, e comincia la leggenda che ancora oggi non accenna a esaurirsi, come testimoniano i 10 milioni di copie vendute del Codice da Vinci e il successo di simili romanzesche ricostruzioni. Eppure, in un serissimo saggio di storia in uscita a giorni da Il Mulino , I Templari , leggiamo: «Forse la grande diffusione di letteratura pseudostorica sul Tempio ha veramente reso un servizio alla cultura, suscitando l’attenzione del grande pubblico e alimentando la richiesta di indagini nel settore; se così è, ben vengano allora i romanzi sui Templari e il Santo Graal: specie perché ci sono oggi diversi giovani ricercatori al lavoro che stanno indagando con pazienza e professionalità i molti punti ancora ignoti della breve ma intensa storia dell’ordine». L’autrice del saggio, Barbara Frale, è uno dei giovani preparati e pazienti ricercatori che stanno lavorando sui materiali d’archivio in cerca di nuove e provate verità. Proprio a lei si deve la scoperta di un documento molto importante, che mostra come, nell’estate del 1308, i Templari furono assolti da papa Clemente V dall’accusa di eresia. Tre anni fa, la Frale trovò nell’Archivio Vaticano una pergamena contenente l’assoluzione di Jacques de Molay e degli altri capi dell’ordine, in quel momento detenuti nel castello di Chinon e lì interrogati da tre eminenti cardinali inviati dal pontefice. La revoca della scomunica, che il papa confermò, seguiva di pochi giorni quella che già Clemente V aveva pronunciato nei confronti di una sessantina di cavalieri da lui interrogati a Poitiers. «L’accusa di eresia – dice Barbara Frale – si basava sul rituale segreto d’ingresso nell’ordine, per cui al nuovo cavaliere si chiedeva di rinnegare Cristo e di sputare sulla croce. Il papa e i suoi cardinali, pur giudicando indegna questa tradizione, dichiarano che non può essere confusa con l’eresia. Oggi diremmo che questo rito ricorda certi casi di nonnismo, scurrile più che eretico (si imponevano anche baci sulla bocca o sul posteriore). Probabilmente era un modo per mettere alla prova l’obbedienza assoluta, forse anche serviva a preparare i novizi a quello che i saraceni avrebbero potuto fare loro. Ma certo, secondo il giudizio del pontefice, non implicava l’adesione a dottrine eversive della fede». Ma perché, allora, molti Templari furono bruciati? «Perché, nella sfida tra Clemente V e Filippo il Bello – il papa era l’unica autorità legittima in grado di giudicare dei monaci, ma Filippo il Bello non accettò mai altro tribunale che quello di Parigi – fu il re di Francia a vincere. Tornati in Europa dopo la caduta di San Giovanni d’Acri nel 1291, i Templari erano diventati un potere dentro lo Stato. Filippo il Bello si comportò in maniera ignobile, ma probabilmente lo fece per salvare il regno».
«I fratres Templi , come si chiamarono in origine dal luogo, i resti del Tempio di Salomone a Gerusalemme – concesso loro da re Baldovino II – sono essenzialmente dei monaci. Pronunciano infatti i tre voti monastici: castità, povertà, obbedienza; e dipendono direttamente ed esclusivamente dal papa. Monaci, non sacerdoti: non celebrano la messa, non amministrano i sacramenti, ma del resto nemmeno San Francesco è mai stato un prete. Distinzione importante, perché ai sacerdoti era fatto divieto assoluto di impugnare le armi e uccidere mentre i Templari combattevano per la difesa dei cristiani». Bernardo di Clairvaux, che dettò la regola dell’ordine intorno al 1135, paragonava i cavalieri del Tempio a dei santi guerrieri. Meno di due secoli dopo, a Parigi, vengono accusati di eresia e molte altre infamie.
Ma durante i due secoli della loro storia, come erano considerati i Templari? «Fino al 1307, i Templari rappresentano per tutti l’eccellenza in campo religioso. Tanto da essere riconosciuti come la massima autorità nel riconoscere le reliquie autentiche. Né va dimenticato che Wolfram von Eschenbach, nel suo Parzival – circa 1200, ndr – dice che i Templari sono i custodi del Graal. Tutti i pontefici li guardano con favore, da Innocenzo II a Bonifacio VIII. A loro vanno ingenti donazioni e lasciti testamentari». Il rituale – con lo sputo, il bacio, a volte pure l’invito a cedere a richieste sessuali di confratelli – fu la causa principale della loro rovina. «Certo fu il loro tallone d’Achille, su cui i consiglieri del re di Francia puntarono nel processo. Tali accuse non furono mosse agli Ospitalieri (che dopo le Crociate sarebbero diventati Cavalieri di Rodi e poi di Malta, ndr ) che, a differenza dei Templari, fin dal 1272 avevano bandito i rituali d’iniziazione».
Processo o complotto? «Il processo aperto a Parigi per volontà del re era stato preparato da lungo tempo. Per esempio, si sa che negli anni precedenti erano state infiltrate delle spie nei ranghi dell’ordine. Un gruppo di consiglieri del re aveva approntato i capi di accusa. Erano dei professionisti, il più agguerrito era il giurista Guillaume de Nogaret, che già voleva istruire un processo per stregoneria contro Bonifacio VIII. In Francia le deposizioni erano ottenute con metodi violenti, tortura fisica più spesso, e comunque una fortissima violenza morale».
Nei quattro anni di dottorato a Venezia, Barbara Frale ha lavorato a una schedatura di tutte le deposizioni esistenti. In modo da comporre un quadro esauriente di tutto ciò che veniva imputato ai cavalieri. Per esempio, l’accusa di sodomia in questo spoglio sistematico viene a cadere: «Su mille templari, solo sei confessano di avere rapporti sessuali con dei confratelli». L’arresto e il processo, comunque, riguardarono soprattutto la Francia: solo lì il mandato di arresto fu eseguito tempestivamente, nelle altre parti di Europa si procedette con molta lentezza. «A Venezia, per esempio, il doge decise di non fare il processo. In tutt’Italia, poi, dove c’erano circa 150 case templari, gli arresti partirono solo 12-18 mesi dopo, e negli archivi abbiamo solo 36 deposizioni». Insomma il processo di Parigi fu un vero complotto.
«Sì, si può dire anche così. Certo non si era mai vista prima di allora una macchinazione altrettanto perfetta, e i contemporanei per primi ne rimasero colpiti». Prima di venir bruciato, il Gran Maestro invocò la giustizia divina contro il re che lo mandava a morte e contro il papa che l’aveva abbandonato. Invece, dalle sue ricerche risulta che Clemente V tentò con ogni mezzo di contrastare il processo, ma non vi riuscì: «Era gravemente malato, in più si trovava in Francia, soggetto ai ricatti del re. E il collegio cardinalizio era per metà favorevole a Filippo il Bello. Quando nel 1308, con l’assoluzione dalla scomunica, il papa crede di aver strappato un grosso vantaggio, il re sferra l’attacco più duro. Annunciando l’apertura di un processo per stregoneria contro il defunto Bonifacio VIII: il rischio è lo scisma della Chiesa di Francia. Il papa vorrebbe salvare i Templari, anche se il suo progetto prevede che essi, dopo il pentimento, confluiscano con i loro beni nell’ordine degli Ospitalieri. Non ci riuscirà. Clemente V, dopo una lotta di sette anni, muore nel 1314, un mese dopo il rogo di Molay. Anche Filippo il Bello morirà in quell’anno».
Però, nel 1312, nel Concilio di Vienne, Clemente V aveva sciolto l’ordine dei Templari. «Non è esatto: il papa a Vienne sospende l’ordine, a causa delle indegnità di cui molti suoi membri si erano macchiati. Inoltre lancia la scomunica contro chiunque utilizzi nome e simbolo dei cavalieri del Tempio senza il consenso pontificio. E’ una sentenza non definitiva, ma da 700 anni nessun pontefice romano l’ha modificata». E allora tutti gli ordini che oggi si chiamano Templari, dicendosi eredi dell’antica militia, cosa sono? Per esempio, Salvatore Stefio, uno degli ostaggi italiani in Iraq, è stato insignito a Palermo dell’ordine dei cavalieri templari. «So poco di queste confraternite. Alcune si limitano a richiamarsi ai Templari, spesso sono associazioni di volontariato. Ma quelle che si dichiarano eredi dell’ordine del Tempio non lo possono fare: nessun pontefice ha mai revocato la sospensione dei Templari».
Però qualcosa rimane poco chiaro, e continua a conferire aspetti magici alla vicenda: nelle deposizioni si legge che i cavalieri veneravano un idolo, una testa baffuta (da alcuni chiamata Baphomet); si sa inoltre che il Giovedì Santo i Templari celebravano un rito con il calice per ricordare il sangue di Cristo versato per i peccati degli uomini. «Questi due elementi sono ancora vaghi. Per l’idolo, è probabile che si tratti dell’immagine di Cristo detta Mandilion, immagine “acheropita”, non eseguita da mano umana in quanto impronta del volto santo. Qualcosa che forse ha a che fare con la Sindone. Quello del Giovedì Santo è una sorta di rito eucaristico, per cui andrebbero esaminati riti affini nell’area mediorientale. Certo ci sono significative assonanze con la leggenda del Graal. Ma, ripeto, qui c’è ancora molto da studiare».

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 Barbara Frale, nata nel 1970, laureata in Storia medievale a Viterbo, ha conseguito il dottorato in Storia della società europea a Venezia con una ricerca sul processo dei Templari. Ha pubblicato «L’ultima battaglia dei Templari» e «Il Papato e il processo ai Templari» (Viella) . «I templari» è in uscita da Il Mulino (pagine 193, euro 11,50). L’autrice ha ritrovato nell’Archivio Vaticano il documento che mostra come i Templari furono assolti dall’accusa di eresia


Nove guerrieri aristocratici e il patriarca di Gerusalemme



Fondata da un feudatario della Champagne, Hugues de Payns, poco dopo il 1100 a Gerusalemme, la «Militia del Tempio di Salomone» consta all’inizio di nove compagni, aggregati come conversi presso i canonici del Tempio: è una confraternita laica, di aristocratici guerrieri, che sono venuti in Terrasanta per ottenere il perdono dei loro peccati. Intorno al 1120, i nove prendono i tre voti monastici e il Patriarca di Gerusalemme affida loro la missione di combattere per proteggere i pellegrini. Nel 1129, al Concilio di Troyes, il legato apostolico ratifica la proposta di un ordine avanzata dallo stesso Hugues de Payns. Intorno al 1135, Bernardo di Clairvaux scrive il trattato «In lode della nuova milizia», destinato a diventare la regola dell’ordine. Nel Concilio di Pisa dello stesso anno, papa Innocenzo II ratifica la regola dell’ordine e, nel privilegio apostolico del 1139 “Omne datum optimum”, fissa i fondamenti del suo sviluppo. Braccio armato alle dipendenze del Papa per la difesa della Terrasanta, i Templari subiscono la sconfitta di Hattin nel luglio 1187 (che permetterà al Saladino di riconquistare Gerusalemme nell’ottobre dello stesso anno).
Un secolo dopo, nonostante il loro coraggio, saranno costretti a cedere l’ultima roccaforte, San Giovanni d’Acri. Dopo un breve esilio a Cipro, ripareranno in Europa. Nel 1298, papa Bonifacio VIII ottiene da loro un prestito di 12 mila fiorini d’oro. Nel 1306, Filippo il Bello costringe il tesoriere del Tempio a dargli 300 mila fiorini d’oro. L’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay, arrestato e torturato nel 1307, ritratta le sue deposizioni già nel dicembre dello stesso anno.

La fortuna letteraria



I Templari tornano nell’immaginario nel Settecento con la fioritura di logge massoniche: ci si ispira a loro come ai martiri del libero pensiero. Nell’Ottocento, Walter Scott li dipinge come sinistri figuri ( Ivanhoe , 1820). Nel 1841-51, Jules Michelet trascrive i verbali del processo contenuti alla Biblioteca di Parigi. Le loro pratiche misteriose affascineranno poeti romantici, gli antropologi culturali della scuola di James Frazer, scrittori surrealisti . Con «Il Santo Graal» di Baigent-Leigh-Lincoln del 1982, i Templari diventano noti a un pubblico vastissimo. Nel 1987 lo storico inglese Peter Partner pubblica «I Templari». Nel 1988 Umberto Eco riprende la loro leggenda ne «Il pendolo di Foucault»; un anno dopo, Spielberg li resuscita in «Indiana Jones e l’ultima crociata». Fra i più recenti, due romanzi: «Le porte dei Templari» di Javier Serra, e «Il codice da Vinci» di Dan Brown