(CorSera) La missione in Terrasanta del Papa

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IL VIAGGIO PASTORALE

Il volo con Benedetto XVI: «Sì alla pace: noi forza spirituale e non potere politico»

Il Papa risponde ai giornalisti durante il viaggio verso la Giordania:«Con gli ebrei facciamo grandi progressi»

l’inviato  Gian Guido Vecchi

DAL VOLO PAPALE – «Buongiorno, vorrei anzitutto ringraziarvi per il lavoro che fate! Ci auguriamo tutti insieme un buon viaggio, un buon pellegrinaggio, un buon ritorno…». Volo AZ 4000 Roma-Amman, Benedetto XVI raggiunge i giornalisti in fondo all’aereo mentre l’Airbus A320 sorvola Crotone. Il viaggio verso la Giordania e Israele è iniziato da meno di un’ora, «vengo tra voi come pellegrino di pace», aveva detto alla vigilia. È la missione più impegnativa e delicata del suo pontificato ma Benedetto XVI, l’aria serena, non si sottrae alle domande preparate dai giornalisti.

Santità, questo viaggio avviene in un periodo molto delicato per il Medio Oriente. Vi sono forti tensioni. In occasione della crisi di Gaza si era anche pensato che lei forse vi rinunciasse. Allo stesso tempo, pochi giorni dopo il suo viaggio i principali responsabili politici di Israele e dell’Autorità palestinese incontreranno anche il presidente Obama. Lei pensa di poter dare un contributo al processo di pace che ora sembra arenato?

«Certamente cerco di contribuire alla pace, non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico ma una forza spirituale. E questa forza spirituale è una realtà che può contribuire a far progredire i processi di pace. Io vedo tre livelli. Primo, da credenti siamo convinti che la preghiera è una vera forza e apre il mondo a Dio, siamo convinti che Dio ci ascolta e può agire nella storia. Se milioni di persone credenti pregano è realmente una forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace. Secondo, noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze. Coscienza è la capacità dell’uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata dagli interessi particolari. Liberare da questi interessi, aprire alla verità con i veri valori è un impegno grande. È un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e liberarci da interessi particolari. E così, terzo punto, parliamo anche alla ragione. Proprio perché non siamo parte politica possiamo poi più facilmente, anche nella luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto contribuisce alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente ragionevoli. Questo abbiamo già fatto e vogliamo farlo anche adesso e in futuro».

Lei come teologo ha riflettuto in particolare sulla radice unica che accomuna cristiani ed ebrei. Come mai, nonostante gli sforzi di dialogo, si presentano spesso occasioni di malintesi? Come vede il futuro del dialogo fra le due comunità?

«È importante che in realtà abbiamo la stessa radice, gli stessi libri dell’Antico Testamento che sono sia per gli ebrei sia per noi Libro di rivelazione. Ma naturalmente ci sono duemila anni di storie distinte, anzi separate, e non c’è da meravigliarsi che ci siano malintesi, perché si sono formate tradizioni e interpretazioni di linguaggio e di pensiero molto diverse, per così dire un cosmo semantico molto diverso, così che le stesse parole nelle due parti significano cose diverse. Lo stesso uso di parole che nel corso della storia hanno formato significati diversi fa nascere ovviamente malintesi. Dobbiamo fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro. Facciamo grandi progressi: oggi i giovani, i futuri insegnanti di teologia, possono studiare a Gerusalemme, nell’università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi. Se c’è un incontro di questi cosmi semantici diversi, andiamo avanti nella strada del vero dialogo e impariamo l’uno dall’altro. Sono sicuro e convinto che faremo progressi e questo aiuterà anche la pace, anzi l’amore reciproco».

Santità, questo viaggio ha due dimensioni essenziali di dialogo interreligioso: con l’Islam e con l’ebraismo. Sono due direzioni completamente separate tra loro o vi sarà anche un messaggio comune che riguarda le tre religioni che si richiamano ad Abramo?

«Certo esiste anche un messaggio comune. Ci sarà l’occasione di farlo. Nonostante la diversità delle origini abbiamo radici comuni perché, come già detto, il cristianesimo nasce dall’Antico Testamento e la scrittura del Nuovo Testamento senza l’Antico non esisterebbe perché vi si riferisce in permanenza. Anche l’Islam è nato in un ambiente dove erano presenti dalle origini sia l’ebraismo sia i diversi rami del cristianesimo, e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica, così che abbiamo insieme tanto nelle origini e nella fede nell’unico Dio. Perciò è importante da una parte avere dialoghi adeguati con gli ebrei e con l’Islam, ma anche il dialogo trilaterale. Io stesso ero cofondatore di un fondazione per il dialogo fra le tre religioni. Questa fondazione ha fatto anche una edizione dei libri delle tre religioni, Corano, Nuovo Testamento e Antico Testamento. Quindi il dialogo trilaterale deve procedere ed è importantissimo per a pace e per vivere bene ognuno la sua religione».

Lei ha richiamato spesso il problema della diminuzione dei cristiani nel Medio Oriente e in particolare nella Terra Santa. È un fenomeno con diverse ragioni di carattere politico, economico e sociale. Che cosa si può fare concretamente per aiutare presenza cristiana nella regione? Quale contributo spera di dare con il suo viaggio? Ci sono speranze per questi cristiani nel futuro? Avrà un messaggio particolare anche per i cristiani di Gaza che verranno a incontrarla a Betlemme?

«Certamente ci sono speranze, perché è un momento difficile ma anche un momento di speranza, di nuovo inizio, di un nuovo slancio nella via verso per la pace. E vogliamo soprattutto incoraggiare i cristiani di Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere, a contribuire nel loro modo. Sono una componente importante della cultura e della vita di questa regione. In concreto come Chiesa, oltre alla parola di incoraggiamento, alla preghiera comune, abbiamo soprattutto scuole e ospedali. In questo senso siamo presenti con realtà molto concrete. Le nostre scuole formano una generazione che avrà la possibilità di essere presente nella vita pubblica; stiamo creando una università cattolica di Giordania, mi sembra una grande prospettiva nella quale giovani sia musulmani sia cristiani si incontrano e imparano assieme, dove si forma una élite cristiana che è preparata proprio a lavorare per la pace. Certamente le nostre scuole sono molto importanti per aprire il futuro ai cristiani. Anche gli ospedali mostrano la nostra presenza. Inoltre ci sono molte associazioni cristiane che sostengono in diversi modi i cristiani e con aiuti concreti li incoraggiano a rimanere. Così spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà e la pazienza di stare in questi Paesi e di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi».

08 maggio 2009