(CorSera) La conversione di Messori

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Perché Credo

18 gennaio 2009 :: Corriere della Sera

Vittorio Messori: la mia fede

di Armando Torno

Nel settimo libro delle Confessioni di Agostino ci si imbatte in una descrizione surreale. Il santo piega la sintassi, insegue l’impossibile. "Intravia et vidi qualicunque oculo animae meae supra eundem oculum animae meae…". Parole che Carlo Carena (nalle Péiade, Einaudi) ha così tradotto: "Vi entrai e scorsi con l’occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l’occhio medesimo della mia anima…". Agostino penetra in sé e narra la prima intuizione di Dio Spirito. I termini implodono mentre appare l’ "immutabile luce", la verità che si confonde con l’eterno.

La conversione non è mai un atto banale. Dal mito della caverna di Platone nasce la metafora utilizzata dal cristianesimo: il filosofo capace di liberarsi dalle catene si con-verte, ossia si volta dalle tenebre alla luce. Forse, per tali motivi, parafrasando quanto scrisse André Frossard in Dio esiste, io l’ho incontrato (SEI, 1969) la conversione altro non è che un bombardamento di luce. O, se volessimo utilizzare le parole di Vittorio Messori: "Con quella Luce esplosa all’improvviso".

L’espressione si legge a pag. 63 del libro-intervista che lo stesso Messori ha scritto con Andrea Tornielli. Intitolato Perchè credo (Piemme, pagg. 430, €. 20) è il documento di una vita, lo specchio nel quale rivede i suoi anni, i dubbi, le domande, le spensieratezze, la Torino dove studiava con i maestri laici e progressisti, gli incontri. Momenti e figure che, qua e là, affiorano come fiumi carsici. Sotto l’incalzare di domande ben calibrate, le risposte non sono mai apologetiche o scontate. Il Messori di oggi ricorda quanto è successo al ventitreenne laico che fu, permeato di valorri nella Torino dei primi anni ’60, mentre i nuovi guru, i sociologi, producevano a ritmo serrato sull’eclissi del Sacro: "Questo giovane – in modo del tutto imprevisto e nemmeno cercato- è come abbagliato da una luce che lo spinge irresistibilmente a varcare una soglia, al di là della quale c’è un mondo "altro". Un mondo dove l’invisibile si fa visibile, e sul quale regna Colui che è adorato come Salvatore e Rivelatore da quei cristiani, da quei cattolici verso i quali quel giovanotto nutriva sino ad allora estraneità e diffidenza. Nel caso più benevolo, curiosità, come superstiti credenti di un complesso di miti anacornistici" (p. 71). Si aggiungono riferimenti, citazioni, letture non banali. Inutile stilarne l’elenco, osserviamo soltanto che Pascal fece comprendere a Messori la dinamica della fede e gli fornì "il più efficace bagaglio di prove". Ammette: "Sono un pascaliant convinto e grato, eppure sono incapace di comprtendere la sua gloria maggiore, quella di scienziato" (p.134). Dopo le grane giovanili con la matematica, l’autore salda i conti con chi scrisse i Pensieri, l’opera più forte della filosofia moderna a difesa del cristianesimo, frammenti di pura intelligenza che mai lasciano indifferenti.

L’estate del 1964, allorché Messori scoprì il Vangelo, si trasforma in uno spartiacque. Lo studente che di notte lavorava come centralinista alla Stipel e aveva nell’agenda preziosi numeri telefonici (invidiati dagli amici) risponde ora con queste pagine -percorse da continue riflessioni culturali- ai numerosi phamphlets che accusano di ignoranza o di scarso comprendonio chi confessa la fede. ma questa è un’altra storia, forse un giorno ne parleremo.

Per ora ci basti aggiungere che nella luce è dolce perdersi. Recenti teorie scientifiche, che la intendono come collante della struttura atomica, sembrano ispirate da Plotino, il tardo filosofo greco che in alcuni passi delle Enneadi la ridusse a sostanza. Ai padri della Chiesa sfuggiva senza requie: la evocavano per parlare di Dio e ne erano al tempo stesso avvolti; sovente la descrivevano e, senza accorgersi, si smarrivano in essa. Perchè la luce assomiglia alla fede: ti arriva addosso e scopri un’altra realtà. Vittorio Messori ne sa qualcosa.

© Corriere della Sera