(CorSera) Jenkins: Dire male del Papa, ultimo sport d’America

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Corriere della Sera 27-5-2003


 


Uno studioso denuncia gli stereotipi e le critiche a senso unico. Dai razzisti ai liberal, lo stesso obiettivo polemico


 


    DAL NOSTRO CORRISPONDENTE


 


    WASHINGTON – Philip Jenkins è docente di storia e di religione a Penn state, l’università della Pennsylvania, ed è autore di libri che innescano accesi dibattiti: tra di essi, Pedofili e preti e La nuova cristianità , di prossima pubblicazione in Italia. Ma con la sua opera più recente, Il nuovo anticattolicesimo: l’ultimo pregiudizio accettabile , Jenkins ha suscitato una controversia senza precedenti. In una minuziosa disanima dei media, della politica e delle arti americani, lo storico, un inglese episcopaliano, dimostra che la Chiesa cattolica in America è spesso considerata «un nemico pubblico», e ridotta «a uno stereotipo grossolano». E che a differenza di quelli contro il giudaismo o l’islamismo, gli attacchi contro di essa sono quasi sempre approvati o condonati. Nel Paese della libertà di religione, scrive Jenkins, è lecito denigrare il cattolicesimo.

    Come è nato questo libro?


    «E’ nato dalle ricerche per i miei libri precedenti. Ho constatato che in America non c’è anticlericalismo ma c’è anticattolicesimo. C’è sempre stato, dai primi immigrati protestanti al movimento populista a quello razzista del Ku klux klan. Non è questione di destra o di sinistra, si è manifestato sia nell’una sia nell’altra a seconda dei tempi e delle circostanze».


    Chi sono oggi gli anticattolici?


    «Sono soprattutto gli intellettuali e i liberal. Si dice addirittura che l’anticattolicesimo sia l’antisemitismo dell’uomo colto. I demagoghi ce l’hanno con gli ebrei, gli uomini di cultura con i cattolici. E’ un paradosso perché la Chiesa cattolica in America propugna le riforme sociali, il disarmo, la pace, cioè molte delle loro cause».


    C’è una spiegazione?


    «Credo che sia la centralità dei problemi sessuali nella società americana: il cattolicesimo è considerato antigay, antifemminista, e così via. Nel libro io lo contesto, tanto che ho intitolato polemicamente uno dei capitoli “La Chiesa odia le donne” e un altro “La Chiesa uccide i gay”. Ma le accuse fanno presa sul pubblico».


    Lo scandalo dei preti pedofili ha aggravato i pregiudizi anticattolici?


    «I pregiudizi lo hanno ingigantito. Il termine preti pedofili è discriminatorio. Gli abusi sessuali nella Chiesa cattolica non sono più frequenti che nelle altre chiese o tra gli insegnanti delle scuole. Inoltre, di rado si tratta di pedofilia, perché le vittime hanno raggiunto o superato la pubertà. Gli abusi sono orrendi, sono crimini da punire e stroncare, non da strumentalizzare».


    L’anticattolicesimo ha influito sulle critiche riguardo al rapporto fra Pio XII e il nazismo?


    «A mio giudizio sì: è diventato un modo di attaccare la Chiesa. Un esempio: la Chiesa si oppone all’uso di certi contraccettivi per contenere l’aids. In reazione, i suoi nemici accusano Giovanni Paolo II di comportarsi con l’Aids come Pio XII con Hitler. Dicono testualmente: non fa nulla contro la versione virale del Führer».


    Non è un ritorno all’antipapismo?


    «L’antipapismo è sempre parte dell’anticattolicesimo. Il Papa a volte è una figura demoniaca per la sinistra Usa. Io ricordo che anni fa si scoprì un complotto islamico contro di lui e che i liberal se ne rallegrarono. Non è la persona di Giovanni Paolo II, è l’istituto: il suo successore andrà incontro alla stessa ostilità».


    Lei parla di un nuovo anticattolicesimo: in che senso è nuovo?


    «Molti americani pensarono che l’anticattolicesimo fosse finito con l’elezione del primo presidente cattolico, John Kennedy. Si sbagliavano. E’ stato rinfocolato da problemi come l’aborto, dai dissensi interni della Chiesa e dal suo ritardo nel combattere il pregiudizio. Solo l’anno scorso la chiesa ha formato un gruppo per i diritti civili».


    E’ possibile che l’anticattolicesimo scompaia?


    «E’ difficile, come lo è che scompaia l’antisemitismo. La differenza è che l’antisemita in America viene subito denunciato e zittito. Temo che l’anticattolicesimo sia così radicato da rappresentare l’opposto di ciò che l’America si considera in un dato momento. L’America cambia spesso idea: se si ritiene progressista, dipinge il cattolicesimo come conservatore, e viceversa».


    Ma l’America non si rende conto che il cattolicesimo è una forza globale?


    «In America conta solo ciò che è americano. La chiesa cattolica è la più grande ma è una delle tante chiese del Paese, ed è oberata da stereotipi tipo “Inquisizione”. Non scordiamo che tra i motivi della rivoluzione del 1776 ci fu la tolleranza degli inglesi per i cattolici. Qui la religione viene vissuta in modo combattivo se non settario. Persino la politica assume connotati religiosi. E’ molto diverso che in Europa».


    Non è un pericolo per il principio della separazione tra stato e chiesa?


    «Può diventarlo. Attualmente è un fattore che pesa sugli affari internazionali. Gli americani vedono la Palestina meno favorevolmente degli europei, perché prendono la Bibbia molto sul serio, si sentono vicini a Israele. Gli europei giudicano il presidente Bush un fanatico religioso ma gli americani si identificano in lui. Rispettano Joe Lieberman, un candidato democratico alla Casa Bianca, perché è rigido nelle sue convinzioni di ebreo ortodosso».


    Ne «La nuova cristianità», lei ha scritto che essa troverà un terreno più fertile negli Usa che in Europa, perché?


    «L’immigrazione in Europa sarà soprattutto musulmana, in America soprattutto latino americana e asiatica. L’aspetto del cattolicesimo americano muterà: sarà più etnico. E uno dei cambiamenti maggiori riguarderà la Vergine: adesso in America la sua figura è secondaria, ma diverrà centrale».


 


Ennio Caretto