(CorSera) I cristiani scoprono la repressione del regime

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“Corriere della Sera”, 10 novembre 2002

Nomi vietati e croci oscurate, i cristiani scoprono la repressione del
regime

Di notte, sotto le porte delle case, vengono infilati volantini che
invitano alla «conversione». Ai figli è vietato dare nomi non arabi, come Maria

Cremonesi Lorenzo
DAL NOSTRO INVIATO MOSUL (Nord Iraq) – La minaccia islamica è arrivata
assieme ai volantini che chiamano alla conversione, ormai periodicamente
infilati di notte sotto le porte delle abitazioni cristiane a Mosul. «Se non
togliete quella croce infilata sul mappamondo, che sta sul tetto della
chiesa di Nostra Signora di Fatima, ci penseremo noi a rimuoverla con la
forza», ripetevano gli iman nelle moschee. E così l’ arcivescovo
siro-cattolico, Georges Casmoussa, ha deciso di nascondere la croce su ll’
edificio appena restaurato l’ anno scorso, coprendola in parte con una gran
scritta nera su un pannello di plastica bianca che riporta il nome della
chiesa.

Il motivo? «I musulmani affermavano che il sostegno sferico su cui
poggia la croce sembra va simboleggiare la volontà del dominio cristiano sul
mondo intero. E qui ribadiscono che questa è terra islamica», spiegano nei
corridoi dell’ arcivescovado. Il viaggio tra la provincia di più antica
civilizzazione cristiana in Iraq rivela paure raccontate a bassa voce. «Una
comunità in decadenza», ammettono al patriarcato caldeo di Bagdad. «Nel 1989
c’ erano oltre 600.000 cristiani (l’ 80 per cento cattolici) in Iraq, ma
dall’ invasione del Kuwait nel 1990 hanno iniziato ad emigrare.

Oggi non
arrivano ai 450.000», afferma un alto prelato. Ma con i timori di una nuova
guerra il senso di insicurezza si è fatto più acuto, alimentato da una serie
di fatti gravi. Il più misterioso è stato l’ assassinio di Cecilia
Hannamushi, una suora di 70 an ni sgozzata nel suo letto a Bagdad a metà
agosto. «Le hanno tagliato il collo con un coltellaccio da cucina, poi è
stata legata seminuda mani e piedi, potrebbe anche esser stata violentata»,
raccontano.

Un delitto subito condannato dal regime. I tre aggressori sono
stati mostrati alla tv locale prima dell’ esecuzione capitale. «Erano solo
dei ladri», dicono i portavoce della polizia. Ma nella vicina chiesa di Mar
Yusef non sono convinti: «E’ stata un’ esecuzione in pieno stile algerino,
l’ accan imento contro il cadavere si spiega solo con l’ odio religioso».

La violenza ha raggiunto anche Mosul. «La seconda domenica di settembre, un
gruppo di estremisti armati di pietre e coltelli si è scagliato contro i
fedeli che uscivano dalla messa. Se la sono presa in particolare con le
ragazze che secondo loro portano le gonne troppo corte e non si coprono il
capo», rivelano nella scuola vicino all’ arcivescovado. E’ una scuola mista
per cristiani e musulmani, da qualche anno Saddam Hussein ha fa tto chiudere
in tutto il Paese quelle private finanziate dalla Chiesa. Ma i professori
cristiani accettano di bisbigliare qualche veloce testimonianza solo quando
i colleghi e gli allievi musulmani si allontanano: «Qui stanno crescendo i
gruppi wahab iti finanziati e spalleggiati dall’ Arabia Saudita. Vorrebbero
che diventassimo tutti musulmani». «Il paradosso è che in verità il Ba’ ath,
il partito di Saddam Hussein, ha una tradizione laica che privilegia la
convivenza tra le fedi. Prova ne è che il numero due del regime, Tarek Aziz,
è un cristiano. Qui in passato c’ era più tolleranza che in Egitto o in
Giordania.

Ma ora i cristiani in Iraq sono una minoranza che teme l’
anarchia del dopo Saddam, nel caso di un attacco americano. Vedono nel
regime l’ unico scudo contro il fondamentalismo islamico.

Negli ultimi anni
però lo stesso Saddam ha voluto islamizzare la società per raccogliere il
consenso contro il nemico esterno. E i cristiani si trovano in una posizione
sempre più fragile», a nalizzano nei circoli diplomatici occidentali nella
capitale.

I segni del nuovo islamismo di Stato sono evidenti: ormai non si
può costruire una nuova basilica senza che vicino non sorga una moschea. I
nomi dei neonati cristiani devono essere arabizz ati. Non si può più
chiamare, per esempio, il proprio figlio Giuseppe, ma solo Yusef. È
accettata Miriam, ma non Maria. Il Vaticano ha protestato all’ inizio dell’
anno presso il governo di Bagdad quando era arrivata la notizia per cui il
ministero d ell’ Interno stava approntando una «lista dei nomi proibiti». Ma
la questione per ora resta aperta.