Chesterton, San Tommaso d’Aquino

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\"\"Gilbert Keith Chesterton, San Tommaso d’Aquino, Edizioni Lindau, Torino 2008, pp. 200, € 16,50

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Lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) è il popolare autore di molti racconti incentrati sulla celebre figura di padre Brown. Convertitosi al cattolicesimo nel 1922, la sua opera di apologeta è affidata all’ironia, ai continui paradossi, ad apparenti nonsense, che travolgono letteralmente il lettore, soprattutto al primo impatto con lui. Si è tentati di chiudere il libro prima di essere messi alle strette da questo grasso e gioviale inglese che, in maniera cortese ma implacabile, ingaggia un duello contro la nostra certezza di non avere certezza alcuna. Prima ancora che della fede cristiana, il nostro è un difensore del buon senso, perché il mondo ha bisogno di un santo, ma, prima ancora, di un filosofo. E in questo libro, GKC – come è usualmente chiamato – ci presenta addirittura un filosofo santo, o, se vogliamo, un santo filosofo.
St. Thomas Aquinas, del 1933, fa seguito a St. Francis of Assisi, di dieci anni prima. E le due figure si intrecciano frequentemente nel primo capitolo intitolato «I due frati», in un contrasto comico tra due personaggi che sembrano l’antitesi l’uno dell’altro, a cominciare dalle sagome, che accostate ricorderebbero quelle di don Chisciotte e Sancho Panza, dall’agilità di Francesco e dalla flemmatica pesantezza di Tommaso, ma il contrasto si estende a molti aspetti delle rispettive personalità perché la materia prima per la santità è l’uomo, qualsiasi tipo di uomo. Un differente tipo di santo può rivelarsi così persino un antidoto per le differenti malattie di ciascuna epoca e Chesterton osserva che, come l’Ottocento razionalista riscoprì la romanzesca avventura di Francesco, il Novecento che aveva messo da parte la ragione ha riscoperto la razionalità cristiana di Tommaso. Tuttavia, dietro la grande diversità dei due, si cela lo stesso obiettivo: riaffermare l’Incarnazione e riportare Cristo sulla terra. Il secondo capitolo – «L’abate fuggiasco» – si concentra sulle vicissitudini del rampollo dei conti di Aquino, che ne avrebbero fatto volentieri un abate aggiungendo soltanto onori alla nobile schiatta… ben diversa fu la reazione dei familiari alla notizia che Tommaso era entrato non in un’antica e veneranda abbazia, ma nel nuovo ordine mendicante dei frati predicatori. Il fuggiasco, in viaggio per Parigi, venne riportato di peso – è proprio il caso di dirlo – a casa, dai fratelli che finsero un agguato; ne viene fuori la descrizione di un pittoresco terzetto medievale – ed è l’occasione per rendersi conto della complessità del Medioevo, come di qualsiasi epoca storica, poiché dalla stessa famiglia venivano fuori due selvaggi e un professore. Al periodo della “prigionia” nel castello paterno risale l’unico episodio di collera del nostro, quando i suoi fratelli, non essendo riusciti a dissuaderlo neanche con le maniere forti, tentarono la vigliaccata di introdurre una prostituta nella sua stanza. Tommaso si alzò brandendo un tizzone fiammeggiante che fece scappare la donna, ma naturalmente non le avrebbe fatto alcun male.
Con «La rivoluzione aristotelica» entriamo nel vivo, cominciando a capire in che modo san Tommaso ha riportato Cristo sulla terra. C’era il pericolo che invece della naturale coesistenza di materia e spirito prevalesse il puro spiritualismo e la Cristianità dimenticasse che Dio non disprezza affatto la carne, fino al punto da incarnarsi Egli stesso. Il contributo del pensiero greco, che pure era stato prezioso, si stava risolvendo in una serie di nobilissime astrazioni le quali però per definizione sono l’opposto dell’incarnazione. In definitiva, coloro che difendevano lo spiritualismo pensando di difendere l’ortodossia, dimenticavano che il Logos era, sì, la Parola, ma la Parola fatta carne! San Tommaso imparò da Aristotele la stessa cosa che san Francesco imparò dalla natura, e cioè che il creato è “cosa buona”, come dice la Genesi, anche negli aspetti più piccoli e materiali; la sua umiltà scientifica consisteva nell’essere disposto a studiare il mondo anche a partire dal verme – senza per questo scambiare il verme per il mondo come fanno i moderni specialisti.
Con la rivalutazione della materia e della carne, ci avviamo ad un capitolo fondamentale, «Una meditazione sui manichei». La meditazione avvenne nel posto meno adatto per meditare, cioè durante un banchetto alla corte di san Luigi IX re di Francia e diede luogo ad un curioso aneddoto – che qui però non riportiamo, lasciandolo alla curiosità del lettore – che mostra come la questione gli stesse molto a cuore, poiché il manicheismo era per lui l’eresia per eccellenza. Il suo compito era infatti, come accennato sopra, di evitare che l’esaltazione dello spirito si trasformasse in disprezzo della materia; e che i cristiani diventassero manichei pensando con ciò di essere più cristiani. In realtà solo Dio può creare il mondo materiale, mentre il demonio può al massimo indurre ad usare male delle cose buone – senza per questo riuscire a renderle cattive! Così i manichei attribuivano erroneamente l’opera divina della creazione a Satana e i calvinisti altrettanto erroneamente attribuivano l’opera della dannazione a Dio. Per quanto sembri paradossale al critico della Chiesa cattolica – la cui critica spesso si basa su una scarsa conoscenza della Chiesa cattolica – la rivalutazione della carne e il trionfo sullo spiritualismo, avvenne non malgrado il dogma, bensì grazie al dogma: ad esempio l’eccessivo entusiasmo di qualche eremita per il celibato avrebbe potuto facilmente trasformare il cattolicesimo in un manicheismo, se non avesse dovuto accettare l’autorità della Chiesa per la quale il matrimonio è cosa buona.
Dopo questi accenni alla filosofia dell’Aquinate, GKC scava a partire dalla fisionomia e dal carattere, per scoprire «La vera vita di san Tommaso», cioè la sua vita di santità, tanto preziosa quanto difficile da descrivere a causa della ritrosia dei santi a parlare delle proprie virtù – del resto sarebbe poco credibile un santo che andasse in giro a sbandierarle… E così la nostra curiosità deve accontentarsi di quegli episodi in cui Tommaso non poté evitare che qualcuno testimoniasse, come i frati che assistettero alla visione del Crocifisso in San Domenico a Napoli. Il Cristo approvò ciò che aveva scritto Tommaso e gli offrì una ricompensa tra tutte le cose create. La risposta dell’Aquinate potrebbe essere definita “aristotelica” se non avessimo già valicato l’ambito della filosofia…
Nel capitolo successivo, «L’approccio al tomismo», siamo condotti al cuore della filosofia di Tommaso; che è la filosofia del buon senso, la filosofia che si accontenta di partire da quei dati elementari – e quindi essenziali – che i sensi sono in grado di fornirci. A differenza di certi sistemi filosofici che iniziano con un paradosso o con un assioma da accettare fiduciosamente, il buon senso di Tommaso consiste nel chiederci semplicemente di credere che quanto percepiamo con i sensi “è”; in caso contrario sarebbe abbastanza difficile – e inutile – andare avanti… L’Aquinate si rivela pertanto meno esigente di quei filosofi che, per cominciare, dicono che la legge è al di sopra del diritto, o che il diritto è fuori della ragione, che le cose sono soltanto come noi le pensiamo, o che tutto è relativo a una realtà che non c’è – tutte cose cui da soli non crederemmo mai.
«La filosofia permanente» inizia, tanto per cambiare, con un paradosso: GKC paragona Tommaso ad un antropologo agnostico, che si fida ciecamente della ragione; con la differenza che non pone limiti alla ragione: San Tommaso sale fino ai vertici del cosmo, ma partendo dalle cantine del cosmo, dalla prima – o primordiale – evidenza che i sensi permettono anche a un bambino: che ciò che ci circonda, prima di tutto “è”. Egli è un antropologo con una teoria completa sull’uomo: l’antropologia di Tommaso nutre una tale stima dell’uomo e della ragione da rispondere a domande più essenziali di quelle poste dai professori che, convinti di studiare l’antropologia, si fermarono all’antropofagia.
Senza anticipare troppo di questo importante capitolo, diamo solo un rapido sguardo all’ultimo, «L’eredità di san Tommaso», che consiste nel buon senso tomistico fondato sulla conoscibilità del reale, a partire dalla banale constatazione che esso è realmente reale: se una cosa “non è”, se neanche noi siamo sicuri di “essere”, allora le domande successive non hanno più senso. Proprio per questo il tomismo si rivela la sola filosofia in grado di continuare, e soprattutto la sola filosofia operante. Altre filosofie, portate alle estreme conseguenze, impedirebbero di operare se i loro seguaci non agissero malgrado esse: un fatalista agisce comunque, non si limita ad attendere il fato, così come un materialista prende una decisione autonoma che evidentemente non dipende dal materiale di cui è fatto il suo cervello e uno scettico è comunque convinto che la sua verità sia oggettiva. Al dubbio filosofico di tanti pensatori, San Tommaso contrappone certamente la fede, ma innanzitutto la fede nei fatti.

Stefano Chiappalone