(CESNUR) Ruini: Il cristianesimo mantiene intatta la rivendicazione della verità

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Ruini: Inaccettabili per i cattolici “alcune tendenze che hanno le loro matrici nelle grande religioni orientali”; la libertà religiosa è indispensabile ovunque (dal discorso del 19.1.2004)

 “Parimenti insoddisfacenti e francamente non accettabili sono però anche alcune tendenze che hanno le loro matrici nelle grandi religioni orientali ma anche – per quanto riguarda il nostro passato – in larghi strati del pensiero filosofico e religioso ellenistico, e che oggi sembrano di nuovo diffondersi in Occidente, sulla base di una certa sintonia con il relativismo e l’agnosticismo largamente presenti nella nostra cultura. Queste tendenze sottolineano la presenza di Dio, o più esattamente del divino, al fondo di ogni realtà e insistono però sull’impossibilità, per la nostra mente limitata, di averne alcuna reale conoscenza. Il divino così inteso sarebbe alla fine impersonale, identificandosi con la dimensione più profonda e misteriosa dell’universo. Pertanto la stessa preghiera non potrebbe essere un dialogo tra Dio e l’uomo, ma si ridurrebbe piuttosto a degli itinerari spirituali di autopurificazione, culminanti nel riassorbimento e nel dissolvimento del nostro io nell’infinito originario. A ben vedere, non è dunque così radicale la differenza tra queste forme di religiosità e quell’agnosticismo, o anche ateismo, che si collegano a una certa mentalità scientista.

Al loro confronto il cristianesimo può mantenere intatta anche oggi quella rivendicazione di verità – di una verità superiore alla nostra ragione ma al contempo ad essa profondamente corrispondente – che era stata un suo fondamentale punto di forza nel confronto con il mondo filosofico e religioso dell’Antichità. Anche oggi, infatti, l’annuncio che il Verbo di Dio, la Sapienza creatrice, è all’origine di tutta la realtà e di ogni suo mutamento od evoluzione, compreso l’emergere di quella realtà unica che è l’uomo, conserva pienamente e vede semmai accresciuta la sua plausibilità, dato che l’avanzare delle nostre conoscenze richiama sempre più l’attenzione sull’intelligibilità intrinseca dell’universo e della sua stessa evoluzione.

Aprendoci nella fede, sotto l’impulso dello Spirito Santo che opera in noi, alla rivelazione del vero volto di Dio siamo contestualmente chiamati ad entrare in una nuova forma di vita, il cui ethos è incentrato sull’agape, l’amore puro e generoso che scopre Dio nel prossimo e pertanto vede nell’altro il fratello. Su questa base l’Apostolo Paolo ammonisce la prima generazione cristiana: “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). Dio, infatti, è amore (cfr 1Gv 4,8.16) e quindi ciò che Egli dona e chiede è anzitutto l’amore.

Proprio il fatto che nelle comunità cristiane si realizzasse una forte unità tra certezza della verità che salva e prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa verso i poveri e i sofferenti ha reso tanto penetrante ed efficace la loro presenza evangelizzatrice nel mondo ellenistico-romano, e poi in molti altri contesti culturali e situazioni storiche. È ben comprensibile, del resto, che una rivendicazione di verità possa apparire pienamente convincente e credibile soltanto se concretamente espressa e realizzata in comportamenti capaci di suscitare rispetto e ammirazione e di attestare con i fatti che quella verità è realmente praticabile, è principio di una vita buona e feconda di bene per tutti.

Anche oggi la fede cristiana coerentemente vissuta conserva integra, contrariamente a molte apparenze e ad opinioni diffuse, la sua capacità di toccare nel profondo il cuore degli uomini, proprio perché riconosce nel comandamento dell’amore la legge suprema e il senso profondo dell’esistenza, sia personale che sociale. Ciò risulta assai chiaramente se la poniamo a confronto con l’ethos che scaturisce da una concezione che assolutizza il modello evoluzionistico. Tale ethos infatti pone inevitabilmente al centro la selezione naturale, e quindi la lotta per la sopravvivenza e la vittoria del più forte: tutto ciò appare eticamente assai discutibile, oltre che povero di significato per l’esistenza delle persone e gravido di conseguenze infauste per il destino dell’umanità, specialmente nell’ora storica che stiamo vivendo.

Ma anche quelle forme di religiosità che fanno riferimento a un divino non conoscibile e finalmente impersonale incontrano grandi difficoltà nel fondare e formulare un ethos davvero soddisfacente. Da una parte infatti la stessa persona umana, con i suoi diritti inalienabili, la sua libertà e responsabilità, in una simile prospettiva perde la sua consistenza, diventa qualcosa di relativo e transitorio, e in ultima analisi tende a dissolversi in un tutto indistinto. Dall’altra parte anche la differenza irriducibile tra il bene e il male, presupposto di ogni autentico approccio etico, viene relativizzata, diventando soltanto l’opposizione di due aspetti, entrambi necessari e complementari, dell’unico tutto originario.

La rivelazione cristiana e la prassi di vita che ne scaturisce hanno dunque, anche nel contesto culturale e sociale odierno, pieno titolo per proporsi come parola di verità e via di salvezza. Quel cambiamento radicale della mente e del cuore che esse richiedono – la “conversione” nella pienezza del suo senso evangelico – non significa la distruzione ma il superiore compimento delle istanze e attese presenti sia nelle grandi religioni e culture non cristiane, con le quali per tanti motivi stiamo entrando in sempre più profondo contatto, sia nella civilizzazione scientifica e tecnologica, con la sua peculiare forma di razionalità, che oggi ormai si espande in ogni area geografica.

Perciò la missione cristiana, in questo tempo nel quale il mondo sta diventando sempre più interdipendente e per così dire sempre più piccolo, non è solo particolarmente doverosa ma è anche pienamente possibile. Lo è verso coloro che provengono da altre religioni e culture, e che sono ormai molto numerosi anche tra noi: nei loro confronti l’accoglienza motivata dall’amore disinteressato è la strada privilegiata della testimonianza e della proposta evangelica. Lo è verso i tanti battezzati prigionieri, spesso inconsapevolmente, di una mentalità relativista e anche scientista: per loro può essere decisivo scoprire, nell’incontro concreto con la comunità cristiana, che la fede e la sequela di Cristo aprono quell’orizzonte di significato e di speranza – riguardante non solo il nostro destino ultimo, ma anche la vita quotidiana, il senso del proprio lavoro e il valore dei propri affetti – che la scienza e la tecnologia come tali non possono offrire, e che però è ciò per cui merita di vivere.

La condizione base perché la missione possa aver luogo ed essere feconda si trova, alla fine, dentro alla comunità cristiana stessa: è lei infatti che deve vivere per prima la certezza della fede che salva e la generosità della sequela di Cristo. È lei che deve avere una serena e salda consapevolezza che Cristo è venuto per tutti e deve essere proposto a tutti, che questa proposta non è una prevaricazione, ma al contrario il più importante atto di amore che compiamo verso il nostro prossimo.

La libertà religiosa, radicata nella dignità della persona umana e conforme all’indole stessa della verità cristiana – che è manifestazione di un amore da accogliere nella libertà -, definisce il contesto sociale e civile nel quale la fede va proposta, “con dolcezza e rispetto” (1Pt 3,15). Questo contesto di libertà, assicurato in tanti Paesi tra cui l’Italia, domanda di essere pacificamente esteso anche in quelle terre che tuttora ne sono prive, per rispettare la dignità delle persone e per promuovere lo sviluppo e la concordia dei popoli.”

Card. Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana (dal discorso del 19.1.2004)