C’è bisogno di igiene mentale e morale per il bene dell’Italia

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Tempi 1-9-2009

Il sumo stampato. Lettera a Feltri e Mauro sul caso Boffo e D’Addario

di Luigi Amicone

Caro Ezio Mauro e caro Vittorio Feltri, sapete dove ci porta la vostra guerra a colpi di mattinali di polizia e badilate di fango? Non è ora di finirla con i ricatti giustizialisti?

Altro che “carezza del Nazareno”. Siamo al sumo nel fango, alle telecamere piazzate nelle mutande, alla colonia penale intesa come parfume de toilette. Non c’è riflettore che non sia acceso per illuminare un avversario travestito da scarafaggio. Un bel viatico per raccogliere le forze al rientro dalle ferie. Una bella spinta a rispondere all’urgenza di uscita dal tunnel della crisi. Caro Ezio Mauro, ecco cosa è venuto dalle famose dieci domande da cui ti aspettavi l’abbattimento di quel Principe che nelle vostre teste integraliste non avete mai smesso di considerare un usurpatore. Caro Vittorio Feltri, ecco a cosa hai contribuito con la nonchalance di una notizia da mattinale di polizia. Non alla Gran Torino, ma al Gran Cortocircuito. Dove moralismo e antimoralismo giocano a spaccatutto. Giocano a trascinare politica e giornali in assurde querele milionarie. E a fare della vita delle persone terra di sciacallaggio.
Non abbiamo lezioni da darvi, illustri colleghi. Siamo piccoli giornalisti, un affare minore. Però il sole illumina le cose. Anche le cose che leggiamo in questi giorni e che ci fanno semplicemente dire: perdonate loro che non sanno quello che fanno. Che fanno, infatti, Ezio e Vittorio? Fanno della vita un pantano su cui far scorrere cingoli dorati. Fanno delle loro libertà, di uomini, prima che di lavoratori della carta stampata che domani sarà carta igienica, un’obbligazione vincolata ai poteri rispettivi. Fanno della vita della gente la sentina di un’indifferenza che il ricco innaffia con un calice di Krug.
E chissenefrega se fuori dal club nautico e della belle époque manipulitista scoppia un ’15-’18 fatto della riduzione di ogni volto umano a target di cecchini che hanno sepolto ogni idea, dubbio, residua speranza di civile conversazione, sotto una montagna di spazzatura ben remunerata. Cosa vi manca per star contenti? Vi siete dati così toto corde alla causa da ritrovarvi incapaci di darvi un limite, un divieto, un tabù? Siete bravi, non c’è dubbio. Avete imposto un velo a tutto ciò che capita sotto il bel cielo italiano. E vi siete specializzati nello spionaggio da buco della serratura delle notti passate a tacitare la noia, a bere sesso per scappare a un’idea, a dare corda al demone che – lo conoscete, vi ci misurate anche voi – è in tutti gli esseri umani che non sono quelle alghe, quei delfini, quei climi ecocompatibili per i quali tante lacrime spendete e tanti cuoricini titillate.

La tabaccheria dei valori
Dove credete di andare? Domanda retorica. Non lo sapete neanche voi. Domanda stupida. Lo sapete. Credete che dal vostro ponte di comando riuscirete a far cambiare piega a una storia che, peggio di così, neanche si muore. Ci si ubriaca. E la mattina dopo giù a ricalarsi pastiglie e alcol forte per sostenere un’altra giornata di melma. Ma quando una nazione è costretta ad avvolgersi come un boa sul tronco dell’albero dove cantano gli uccellacci e gli uccellini; quando la realtà è così manomessa da non riuscire più a distinguersi il bene impagabile della preghiera mattutina nel leggere la gazzetta quotidiana dalla mascherina con cui si cerca di scansarne il virus; quando le parole diventano di una falsa serietà agghiacciata dal denaro, dalla lussuria e dal potere; quando tutta l’enfasi comunicativa è sganciata da ogni rispetto per il volto umano e depone ogni fair play, ogni pietas anche solo ereditata da una vecchia mamma cristiana; ecco, quando a chi dirige e scrive giornali non passa più neanche per la lontana mente che davvero ci potrebbero essere più cose in cielo e sulla terra italiana di quante ne passano nelle mutande di un presidente del Consiglio o di un giornalista del quotidiano della Cei, prima o poi deve succedere qualcosa. E cos’altro può succedere dopo che s’è visto di tutto in questi quasi vent’anni di schiavitù al demone della pulizia tribunalizia? Provate a pensare a quale può essere l’ora di spensierata guerra con le armi del moralismo e dei tribunali che passa alla vigilia di una guerra vera. Provate a pensare a cosa può accadere dopo che il rancore, l’odio, l’invidia, vengono a lungo attizzati e a lungo portati in procura e, per esempio, alla lunga conducono a un regnante pistolettato nei Balcani piuttosto che a una marcia rosso-bruna sul parlamento di Weimar.
Penseranno i lettori: nessun problema, non siamo né nazi-comunisti, né serbo-croati. Da quasi vent’anni, a cominciare da quella rivoluzione da operetta centrata sull’immagine ruspante dell’ex magistrato che adesso guida una tabaccheria di valori, tutto sembra svolgersi secondo toni e registri da bassa commedia, scherzi a parte, striscia la notizia, italietta. Chissà se il nostro bel Titanic continuerà a essere da barzelletta. Chissà. Ma conviene continuare a tirare la corda? Conviene imbarbarirsi fidando nella nostra proverbiale stirpe di “italiani brava gente”? O non conviene piuttosto darsi una bella regolata, cari fratelli direttori che siete illustri e siete davvero superiori in un certo mestiere che dovrebbe significare anche ironia, sprezzatura, responsabilità per la comunità, e mettersi tutti sulla strada dell’interruzione della catena dei ricatti giustizialisti per abbracciare la via di quella “perdonanza” responsabile indicata da un perfetto editoriale del Foglio?

Una carneficina senza fine
Mettiamoci nei panni di un qualsiasi lettore, di destra o di sinistra egli sia. Oggi c’è da sentirsi più liberi, più critici, più informati a sapere che volano stracci di domande morali che sono in realtà artifici per campagne politiche? C’è da sentirsi tranquilli che a ciò si replichi con sistemi analoghi? Mettiamoci nei panni di un qualsiasi collega giornalista, di destra o di sinistra egli sia. Che fare di questo mestiere quando le parole sono solo la metafora delle pallottole e l’agorà è solo l’anticamera di processi giudiziari all’infinito? Che farsene più della curiosità, del gusto delle idee e perfino della routine del desk, quando l’unica curiosità, l’unica idea, l’unico desk diventa la discesa in trincea nella “questione morale” e, poiché niente è più indispensabile per stare tranquilli che servire il padrone, sia egli l’etica del portafoglio o la buona fede nell’etica, vendere l’anima alla menzogna? La menzogna secondo la quale dalla carneficina manipulitista uscirà comunque un bene, qualcosa che – quante volte ce lo dovranno ancora smentire i fatti della nostra storia personale, la memoria della nostra storia collettiva? – non sarà comunque un male e una corruzione più grande del male e della corruzione che si volevano combattere.