(Avvenire)Azione Cattolica negli anni ’50: Gedda ed i progressisti

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POLITICA E STORIA, retroscena.
Mario Rossi era presidente dei giovani della Ac da solo due
anni quando si dimise, come aveva fatto il suo predecessore
Carlo Carretto
Un libro sulla vicenda

Quasi tutta la dirigenza lo seguì, in polemica con l’allora
responsabile dell’Azione cattolica, il grande prof. Luigi
Gedda.
Tra loro personaggi che avrebbero fatto strada
[“fatto strada” nel senso dell’agostiniano
“bene curris sed extra viam”, n.d.r.]:
Eco, Garattini, Furio Colombo, Emmanuele Milano, Emilio
Colombo
Era una domenica del 1954 quando i giornali pubblicarono la
notizia che il presidente della Gioventù Italiana di Azione
Cattolica (Giac) aveva dato le dimissioni.
Mario Rossi non aveva ancora trent’anni e ricopriva quella
carica da soli due anni: da quando cioè il suo predecessore,
Carlo Carretto, aveva dato a sua volta le dimissioni.

Il presidente generale dell’Azione Cattolica, invece, era lo
stesso: Luigi Gedda.
Quella vicenda ha lasciato un segno indelebile nella storia
dell’Ac e probabilmente anche in quella dell’intero laicato
italiano.

Molte riflessioni e ricostruzioni di quegli anni sono state
fatte; ora un volume di Francesco Piva, “La gioventù
cattolica in cammino. Memoria e storia del gruppo dirigente
1946-1954″ (Franco Angeli, 25 euro), ne propone
un’interpretazione che si basa non solo sulle figure dei due
protagonisti, Rossi e Carretto, ma anche sul ruolo giocato
dal gruppo dirigente che con essi collaborava.

Piva, infatti, ha intervistato una trentina di dirigenti,
raccogliendone ricordi e interpretazioni, che ha poi
incastonato nei risultati di una lunga ricerca
nell’archivio dell’Azione Cattolica.
E bisogna dire che era un gruppo dirigente piuttosto
singolare, per i tempi e per la tradizione
dell’associazione.

«Erano più giovani di Gedda e anche di Carretto – spiega
Francesco Piva -. Avevano visto e a volte fatto la guerra,
qualcuno aveva partecipato alla Resistenza, alcuni avevano
vissuto l’esperienza della prigionia. Anche per questo
portavano istanze nuove. E se Carretto evolve le sue
posizioni prendendo le distanza da Gedda, è anche perché
aveva attorno questo gruppo dirigente, costituito da
personalità forti, alcune delle quali poi avrebbero fatto
strada: basti pensare a Umberto Eco, Silvio Garattini,
Furio Colombo, Emmanuele Milano, Luciano Tavazza, Dino De
Poli oggi presidente di Cassamarca, Emilio Colombo,
Wladimiro Dorigo».

Quando Rossi lasciò, quasi tutti i dirigenti centrali lo
seguirono, insieme a un ceto di dirigenti diocesani che
poi entrarono in settori chiave della società e della
cultura.

Le sue dimissioni furono un fatto clamoroso, anche alla
luce di una dura presa di opposizione dell’Osservatore
Romano che rimproverava a Rossi e al suo gruppo di avere
seguito «pericolose tendenze dottrinali».

La stampa del tempo attribuì alle dimissioni motivazioni
soprattutto politiche, visto che nel ’52 Carretto si era
opposto a quella che era stata chiamata «operazione
Sturzo»,
ossia ad un’alleanza inedita tra la Democrazia Cristiana
e il Msi per le comunali di Roma.

«In realtà il conflitto di Carretto, e soprattutto di
Rossi, con Gedda non è legato a un episodio concreto, ma
piuttosto a una progressiva contraddizione».
Tra la fine della guerra e il ’54, il gruppo dirigente
aveva percorso un itinerario rilevante.
Se era partito dall’impostazione geddiana (lo stesso
gruppo dirigente partecipò all’esperienza dei comitati
civici in vista delle elezioni del ’48), gradualmente
aveva superato quella visione conservatrice e allineata
rispetto alle gerarchie istituzionali.

E questo avveniva – oggi lo si conosce più chiaramente –
grazie all’interesse per quella nouvelle théologie
francese (Chenu, soprattutto), allora guardata con
sospetto negli ambienti ufficiali.

Prosegue Piva: «Probabilmente Carretto, con la sua
formazione tradizionale, da solo non ce l’avrebbe fatta a
staccarsi da Gedda, cui era legatissimo. Ma Carretto era
il terminale di una riflessione che avveniva nel gruppo:
Dorigo, Pfanner, Graziani; il loro contributo da un lato
e dall’altro gli stimoli teologici di don Arturo Paoli
concorrevano nel mettere in evidenza i limiti del
geddismo: un atteggiamento debole verso la democrazia,
l’investimento sulle strutture più che sui contenuti,
l’attenzione all’azione più che alla spiritualità».
Letture storiche suscettibili ancora, ovvio, di ulteriori
approfondimenti.

L’apertura teologica e culturale, iniziata con Carretto,
fu proseguita in modo più incalzante da Rossi.
Spiega Piva: «Fu messo in discussione soprattutto il
rapporto tra Chiesa e mondo. I laici di Azione Cattolica
erano stati formati, durante il fascismo, all’idea di
conquista: ora si va piuttosto verso un’idea di comunione,
secondo la quale i laici hanno una funzione nel mondo,
legittimata all’interno di una Chiesa che non lo vede più
come un nemico».

[Facile oggi constatare come da un simile passaggio
potessero sorgere conflitti con risvolti politici, ma
dietro c’era un cammino teologico e culturale più profondo
e complesso.
Il nodo centrale resta appunto la riflessione sul laicato.
E bisognerà aspettare il Concilio perché alcuni contenuti
riemergano. ]
[…]

«Soprattutto Rossi coltivava un’idea del rapporto tra
Chiesa e mondo molto lontana da quella di Pacelli: guardava
alla secolarizzazione senza paura, la vedeva come un
elemento positivo che avrebbe potuto rifondare e rigenerare
il cristianesimo, liberarlo dai fronzoli. Era un’idea
originale, che si collocava all’esterno di quella
prevalente di “civiltà cristiana”, e che non era condivisa
neanche da Dossetti e Mazzolari».

Nella loro elaborazione culturale i giovani dirigenti si
trovarono in compagnia di sacerdoti significativi.
[…]

«L’assistente centrale era, già dagli anni Trenta, monsignor
Sargolini, che giocò, in questo processo, un ruolo
secondario dal punto di vista culturale.
I due assistenti che davano la linea erano don Nebiolo e
don Paoli.
Ma la vera mente che sorregge il rinnovamento è Paoli,
entrato in seminario da grande, laureato in filosofia,
dotato di un alto spessore culturale.
Rossi comunque si muove autonomamente, porta contenuti
propri.
Forse anche per questo tra loro si instaura un grande
dialogo: diventarono amicissimi.
[…]

La crisi, del resto, colpirà in modo particolare Paoli:
quando nel ’54 uscì l’articolo di Nicola Adelfo,
sull’Europeo, in cui si diceva che i giovani di Ac
erano ribelli e comunisti, Paoli si ritrovò da un
giorno all’altro cappellano sulle navi».

Paola Springhetti
(C) Avvenire, 25-6-2003