(Avvenire) «Verità oltre la sfiducia»

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FRONTIERE DELLA FEDE
«Una forma di comunicazione molto importante è il recupero della categoria di mistero, molto vicino alla sensibilità dell’uomo contemporaneo»

«Verità oltre la sfiducia»

Il teologo Rino Fisichella sullo stile di annuncio nel mondo di oggi: mistero, spiritualità, speranza «Non solo ricerca umana, ma apertura all’ascolto».

Di Gianni Santamaria Parlare di verità oggi non è facile. Si è cimentato con l’impresa – sulla scorta della «Fides et ratio» – il vescovo e teologo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, che pubblica in questi giorni un saggio dal titolo La via della verità. Il mistero dell’uomo nel mistero di Cristo (Paoline, pagine 212, euro 17).
Cosa significa parlare di verità in un contesto di sempre maggiore relativismo?
Per i cristiani inevitabilmente la verità ha una dimensione maggiormente escatologica: essa verrà data tutta e sempre nel cammino che la Chiesa è chiamata a fare. Il problema è che noi siamo davanti a un “discredito” della verità come tale e a una sfiducia nella sua ricerca. Sicuramente sotto la pressione di alcune tendenze filosofiche – penso a Nietzsche – che erano partite con la volontà di ritrovarla e sono giunte, invece, a identificare l’impossibilità del raggiungimento di una sola verità. Il mio obiettivo non è, però, filosofico, bensì teologico. Il concetto di verità del teologo è dedotto dalla dimensione cristologica. Dalla persona di Cristo, che dice di essere “la” verità. Quindi non un discorso teorico, ma un ricerca profondamente legata all’esistenza della persona. Parlare di verità oggi equivale al porre la persona non solo in ricerca della verità, ma anche in ascolto di una verità che gli viene comunicata. Sono due àmbiti che devono rimanere ugualmente presenti: la ricerca umana, filosofica, ma anche il ricevere una verità per via di rivelazione; cosa che porta l’uomo a rientrare in se stesso e a ricercare il senso della propria esistenza.
Quella che oggi si chiama “questione antropologica”. In che senso è attuale?
Essa si lega inevitabilmente con quella cristologica. Il “chi sono io” non può prescindere dal “chi è Cristo”. I due elementi confluiscono. È la domanda di senso che permane in tutta la storia dell’uomo senza distinzione alcuna di razza, cultura e nazionalità. È dell’uomo in quanto tal e. Ed essa non può essere soggetta solo ad ipotesi, che possono affascinare, ma anche deludere, se non comprovate.
Lei nota che l’impoverimento del senso, va di pari passo con il crescere della fiducia nella tecnica. E influisce sul linguaggio e le relazioni umane…
Una delle espressioni che mi ha sempre colpito è quella del filosofo tedesco Martin Heidegger in quell’intervista-testamento dal titolo «Ormai solo un Dio ci può salvare» che aveva dato dieci anni prima delle morte (avvenuta nel 1976 ndr) con l’accordo che fosse pubblicata dopo. L’intervistatore gli chiedeva: lei si lamenta, ma ha visto dove è arrivata la tecnica? E lui rispondeva: è proprio questo che mi preoccupa. L’uomo è andato sulla luna, ma così facendo si è allontanato da se stesso e dalle relazioni che lo pongono in quell’io-tu, in quell’interpersonalità che è determinate per la vita. E anche dal contatto con la natura. Se prima aveva un senso di timore verso essa, adesso si ritrova in parte a dominarla, ma in parte a non sapere come utilizzarla nella maniera giusta. E qui interviene il problema etico. Va però detto che più la tecnica ha il predominio, più l’uomo scopre in ogni caso il proprio limite e si rapporta a un’esigenza di spiritualità che tende a porre un freno alle conquiste della tecnica che non riesce a soddisfare l’esigenza che è nel più profondo del cuore di una persona.
Il cambiamento esige anche una capacità di comunicare adatta ai tempi, con la quale vivere la dimensione dell’annuncio. Su cosa puntare?
Su diverse istanze oggi presenti, che hanno bisogno di essere riequilibrate. Ma certamente una forma di comunicazione molto importante è la sottolineatura e il recupero della categoria di mistero. Credo che l’uomo contemporaneo sia quantomai sensibile a ciò e che – a partire dal mistero – possa umanizzare molto di più il senso della propria vita e delle proprie relazioni. Il mistero, che è comunicazione, obbliga però ad assumere in una dimensi one ancora più profonda l’esigenza di spiritualità. Perché mistero e spiritualità sono dimensioni proprie dell’annuncio cristiano e quindi – per paradossale che possa sembrare – rendono l’annuncio più vicino all’uomo contemporaneo. Sono convinto che quando ciò viene posto in atto la persona si sente provocata in che che ritiene essere l’essenziale della propria vita.
Quindi una risposta che punta diritta alle ansie dell’uomo moderno.
Credo che non sia solo una forma di risposta, ma anche una forma pedagogica, che tende da una parte a relativizzare ciò che non è assoluto, dall’altra aiuta a scoprire l’essenziale.
Grande spazio ha nel suo volume la speranza. Cosa differenzia quella cristiana dalle varie utopie e visioni del futuro?
È molto semplice: mentre l’utopia rinvia sempre a un futuro che non si realizza, la speranza cristiana per definizione, invece, è la certezza del compimento della promessa. Anche se è attesa dei tempi del compimento che Di o ha stabilito. Sono abituato a dire che la speranza oggi è il nuovo nome della fede. Se siamo capaci di comunicare la speranza, sono sicuro che recupereremo molto di più nella dimensione della consapevolezza della fede. Come scrive Peguy, la speranza non è la sorella minore, ma quella che tiene per mano e trascina con sé fede e carità.