(Avvenire) Veni Sancte Spititus reple tuorum corda fidelium

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Esperienza «comune» (17 aprile 2005)
La loro coscienza e la nostra


di Dino Boffo

Fossimo intelligenti, e capaci, ci sforzeremmo di portarci sull’atmosfera vissuta nei giorni del grandioso commiato di Giovanni Paolo II, quando parve a credenti e scettici che qualcosa di straordinario stesse davvero accadendo. No, nessun espediente psicologico. Quell’atmosfera consentì a molti, su vasta scala, e al di là di facili sociologie, di captare quel «quid» ineffabile che l’epilogo epico e santo di Papa Wojtyla stava scatenando, e che ad un tempo insinuava la percezione di un passaggio misterioso, come il vento scompigliante le vesti cardinalizie.
Autosuggestione collettiva? Non scherziamo. Richiamiamolo piuttosto, quel clima, così che i giorni trascorsi dal 2 aprile non finiscano per estinguersi in un protagonismo di fantasmi. Richiamiamolo perché, ad istinto, ci vien da dire che probabilmente è quello il clima giusto per vivere le vicende che segneranno sul calendario i giorni prossimi. Le ali di Dio, si dovranno sentire.
Stasera, intanto, i cardinali entrano nel recinto del conclave. E domani, lunedì, si avvierà il più antico e collaudato meccanismo elettorale della storia, quello che si attiva – appunto – ad ogni morte di papa, e che si impernia – guarda caso – nell’istituzione più longeva ma anche più carismatica.
«Perché è interessante, perché è così misteriosamente fascinoso il periodo del conclave, con i suoi riti di passaggio e il suo esito di fumo bianco?», si domandava giorni addietro sul «Foglio» Giuliano Ferrara. Già, perché? Noi christifideles dovremmo sul serio chiedercelo, sapendo che avremo la responsabilità di offrire un suggerimento credibile. Un indizio. Niente dell’umano infatti, lì dentro, una volta cantato il Veni Creator, niente viene annullato, ma nessuno che lo voglia resta immune da una grazia singolarissima, e speciale, che misticamente assicura della continua presenza di Cristo nella sua Chiesa. Sua per davvero, e potenzialmente mai come in quel momento. Per questo agisce, scompiglia, disgela e ricombina. Teatrino in mozzetta? Balletto di potere con maschera liturgica? Quegli uomini un po’ li conosciamo. Non sono psicologie fragili, portate all’autoinganno. Ricordate cosa dissero molti loro confratelli all’uscita dei due conclavi del ’78? «Abbiamo avvertito una forza misteriosa che ci sospingeva in avanti, là dove dovevamo arrivare, dissolvendo le nostre previsioni e i vostri calcoli». Quel “vostri” era regalato a noi cronisti, cui non rimase altro che prendere nota di come il “consesso di vegliardi” avesse puntualmente prodotto dei colpi di genio. Ma per loro invece fu stupore di pentecoste.
Vogliamo leggere insieme la formula del giuramento che ogni cardinale reciterà al momento di deporre la scheda nell’urna? «Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». Per chi crede in quel Giudizio finale che il pennello di Michelangelo proprio lì ha dipinto, quelle poche, enormi parole non sono uno scherzo. Come stupirsi allora dell’incandescenza creatrice di quell’esperienza? Oltre che a Dio, ovvio che la sovranità riconosciuta stia nella coscienza propria, incoercibile di ogni singolo cardinale. Lì l’ispirazione, lì la consegna.
E la nostra, di coscienza, cosa ci suggerisce? Se è vero che nel conclave avviene un’irruzione sperimentabile dello Spirito, noi non possiamo starcene da parte, ignari e casuali. Il conclave è anche nostro. In qualche modo, vi entriamo pure noi. Non per soddisfare curiosità furtive o morbose, che rendono malamente inquieti, ma per invocare con ogni nostra forza lo Spirito timoniere, sintonizzandoci da subito sul pensiero inconosciuto di Dio, quale esso sia. Trepidanti se si vuole, ma interiormente tranquilli, calati nella situazione, disponibili e aperti. Pronti all’accoglienza dell’eletto. Ci direbbe Romano Guardini: è il momento «della forma fattasi libera, dell’energia centrale silenziosa, dell’animo raccolto in unità». Forse che non ci basta?