(Avvenire) L'uomo è centro e fine della scienza, non sua cavia

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«L’uomo non è il frutto del
caso»

il
discorso

«Qualsiasi pratica scientifica
dev’essere una pratica di amore, chiamata a mettersi al servizio dell’uomo e
dell’umanità»

Pubblichiamo il testo inte­grale del discorso rivolto ieri mattina nella Sala
dei Papi del Palazzo apostoli­co vaticano da Benedetto XVI ai partecipanti al
Convegno inter-accademi­co «L’identità mutevole dell’individuo».

Signori cancellieri,
ec­cellenze, cari amici accademici, signore e signori.
È con piacere che
vi accol­go al termine del vostro convegno che si conclude qui a Roma, dopo
essersi svolto nell’Istituto di Francia, a Parigi, e che è stato dedicato al
tema
L’i­dentità mutevole
dell’indi­viduo.

Ringrazio prima di tutto il
principe Gabriel de Broglie per le parole di omaggio con le quali ha voluto
introdurre il nostro incontro. Desidero pari­menti salutare i membri di tutte le
istituzioni sotto la cui egida è stato orga­nizzato questo convegno: la
Pontificia Accademia delle scienze, la Pontificia Accademia delle scienze
sociali, l’Accademia delle scienze morali e politiche, l’Accademia delle
scienze, l’Istituto Cattolico di Pari­gi. Sono lieto del fatto che, per la prima
volta, una collaborazione interacca­demica di tale natura si sia potuta
instaurare, a­prendo la via ad ampie ri­cerche
pluridisciplinari sempre più feconde. M entre le scienze
esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza
dell’uo­mo e del suo universo, grande è la tentazione di voler circoscrivere com­pletamente
l’identità del­l’essere umano e di chiu­derlo nel sapere che ne può derivare.
Per non in­traprendere questa via, è importante dare voce alla ricerca
antropologica, fi­losofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere
nell’uomo il suo mistero, poiché nes­suna scienza può dire chi è l’uomo, da dove
viene e dove va. La scienza del­l’uomo diviene dunque la più necessaria di tutte
le scienze. È il concetto e­spresso da Giovanni Pao­lo II
nell’enciclica Fides et ratio: «Una grande sfida che
ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il
passaggio, tanto neces­sario quanto urgente, dal
fenomeno
al
fondamento.
Non è possibile fermarsi alla
sola esperienza; an­che quando questa espri­me e rende manifesta l’interiorità
dell’uomo e la sua spiritualità, è ne­cessario che la riflessione speculativa
raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sor­regge » (n. 83).
L’uomo va sempre al di là di quello che di lui si vede o si per­cepisce
attraverso l’espe­rienza. Trascurare l’inter­rogativo sull’essere del­l’uomo
porta inevitabil­mente a rifiutare di ricer­care la verità obiettiva sull’essere
nella sua inte­grità e, in tal modo, a non essere più capaci a rico­noscere il
fondamento sul quale riposa la dignità dell’uomo, di ogni uomo, dalla fase
embrionale fi­no alla sua morte natura­le.
N el corso del vostro convegno, avete
sperimentato che le scienze, la filosofia e la teologia possono aiutarsi nel
percepire l’identità dell’uomo, che è sempre in divenire. A partire da un
interrogativo sul nuo­vo essere derivato dalla fusione cellulare, che è
portatore di un patrimo­nio genetico nuovo e spe­cifico, avete
messo in luce elementi fondamentali del mistero dell’uomo, ca­ratterizzato
dall’alterità: essere creato da Dio, esse­re a immagine di Dio, es­sere amato e
fatto per a­mare. In quanto essere u- mano, non è mai chiuso in se
stesso; è sempre por­tatore di alterità e si trova fin dalla sua origine a
in­teragire con altri esseri u­mani, come ci rivelano sempre più le scienze
u­mane. Come non ricorda­re qui la meravigliosa me­ditazione del salmista
sul­l’essere u­mano, tes­suto nel
se­greto
del seno di
sua madre e al­lo stesso tempo co­nosciuto, nella sua i­dentità e nel suo mistero, da
Dio solo, che lo ama e lo pro­tegge (cfr Sal 138, 1-16).
L’uomo non
è il frutto del caso, e neppure di un in­sieme di convergenze, di determinismi o
di intera­zioni psico-chimiche; è un essere che gode di una libertà che, pur
tenendo
conto della sua natura, la trascende, e che è il segno del mistero di alterità
che lo abita. È in questa pro­spettiva che il grande pensatore Pascal diceva che
«l’uomo supera infini­tamente l’uomo». Questa libertà, che è propria
del­l’essere uomo, fa sì che quest’ultimo possa orien­tare la sua vita verso un
fi­ne, possa, con le azioni che compie, volgersi verso la felicità alla quale è
chia­mato per l’eternità. Que­sta libertà dimostra che l’esistenza dell’uomo ha
un senso. Nell’esercizio della sua autentica libertà, la persona soddisfa la
sua
vocazione; si realizza e dà forma alla sua identità profonda. È anche nella
messa in atto della sua li­bertà che esercita la pro­pria responsabilità sulle
sue azioni. In tal senso, la dignità particolare dell’es­sere umano è al
contem­po un dono di Dio e la promessa di un futuro.
L’uomo ha in sé una
capa­cità specifica: quella di di­scernere ciò che è buono e bene. Posta in lui
dal Creatore come un sigillo, la sinderesi lo spinge a fa­re il bene. Maturo
grazie a essa, l’uomo è chiamato a sviluppare la propria co­scienza attraverso
la for­mazione e l’esercizio, per procedere liberamente nell’esistenza,
fondandosi sulle leggi fondamentali che sono la legge naturale e quella morale.
Nella no­stra epoca, in cui lo svi­luppo delle scienze attira e seduce mediante
le pos­sibilità offerte, è più im­portante che mai educare le coscienze dei
nostri contemporanei, affinché la scienza non divenga il criterio del bene e
l’uomo sia rispettato come il cen­tro del creato e non sia oggetto di
manipolazioni ideologiche, né di decisio­ni arbitrarie o abusi dei più forti sui
più deboli.
Pericoli di cui abbiamo conosciuto le manifesta­zioni nel corso
della storia umana, e in particolare nel corso del ventesimo
secolo.
Q ualsiasi pratica scientifica deve
essere anche una pratica di amore, chiamata a mettersi al servizio dell’uomo e
del-
l’umanità, e ad apportare il suo contributo all’edifi­cazione dell’identità
delle persone. In effetti, come ho sottolineato nell’enci­clica
Deus caritas
est,

«L’a­more comprende la tota­lità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in
quella del tempo… Amore è ‘estasi’… ma estasi co­me cammino, come eso­do
permanente dell’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel do­no di sé,
proprio così ver­so il ritrovamento di sé» (n. 6). L’amore fa uscire da se
stessi per scoprire e ri­conoscere l’altro; aprendo all’alterità, afferma anche
l’identità del soggetto, poiché l’altro mi rivela me stesso. In tutta la Bibbia
è questa l’esperienza fatta, a partire da Abramo, da numerosi credenti. Il
mo­dello per eccellenza del­l’amore è Cristo. È nell’at­to di dare la propria
vita per i fratelli, di donarsi completamente che si manifesta la sua identità
profonda e che troviamo la chiave di lettura del mi­stero insondabile del suo
essere e della sua missio­ne.
A ffidando le vostre ricerche
all’inter­cessione di san Tommaso d’Aquino, che la
Chiesa onora in questo giorno e che resta un «un autentico modello per quanti
ricercano la verità»
(Fides et
ratio,

n. 78), vi as­sicuro della mia preghiera per voi, per le vostre fami­glie e per
i vostri collabo­ratori, e imparto a tutti con affetto la benedizione
apostolica.

Benedetto XVI