(Avvenire) Iniziativa ”Salva i monasteri del Kosovo”

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APPELLO
Sono circa 130 le chiese e i monasteri ortodossi distrutti o danneggiati dalla furia iconoclasta albanese. In Italia oltre 100 intellettuali si mobilitano per il restauro: giovedì l’iniziativa verrà presentata a Roma

Kosovo, chiostri da salvare



Di Domenico Montalto


Atre mesi di distanza dall’ultima fiammata di violenze, ammontano a oltre 130 le chiese e i monasteri cristiano-ortodossi distrutti o danneggiati in Kosovo dalla furia iconoclasta degli albanesi. Antiche e spesso meravigliose pietre della storia sabotate dall’insania dell’ideologia, dell’odio politico, dei rancori interetnici, col corollario di morti ammazzati. Una geografia della devastazione della quale manca al momento – e chissà per quanto tempo ancora mancherà – una ricognizione definitiva, una mappa aggiornata, un monitoraggio che dia la nozione dell’entità complessiva della perdita, e della sua irrimediabilità. Per secoli, il Kosovo è stato luogo concreto dell’incastro e del compenetrarsi fra Occidente e Oriente, fra cristianità e islam, fra Mediterraneo e Balcani. Oggi, in cui molti teorizzano e altri invocano lo scontro di civiltà, questi templi bruciati, sbriciolati, sfregiati guadagnano la forza di un emblema epocale. Per secoli, infatti, il Kosovo ha posto in relazione due entità irriducibilmente diverse, la croce e la mezzaluna. Così fino a ieri, quando qualcuno ha deciso che non doveva essere più così, dando la stura all’ultima mattanza balcanica. Qualcosa, in quel delicato equilibrio di mondi, si è insomma fatalmente rotto: il cuore dell’Europa scopre in sé i germi della malattia, foriera di frutti dementi e terribili.
Fonti serbe, riportate dal sito www.salvaimonasteri.org, elencano al 25 marzo scorso ben 35 insigni monumenti cristiani dei secoli XIV, XV, XVI e XIX dei quali è stata «cancellata ogni traccia» nelle località di Prizren, Djakovica, Urosevac, Pristina, Kosovo Polje e un po’ in tutta la vasta enclave serba della regione. Un territorio la cui estensione e conformazione complicano il consuntivo dei danni, reso già difficile dall’impossibilità di sopralluoghi tecnici effettuati da persone super partes (le autorità serbe non possono accedere alla zona, e le cosiddetta «polizia civile» albanese risulta in gran parte format a da ex membri dell’Uck, riciclati come poliziotti col beneplacito della Nato). Si potrebbe davvero temere che la situazione stia scivolando verso il disastro definitivo, e che un patrimonio culturale-artistico-architettonico non solo dell’ecclesia orientale ma dell’intera comunità umana sia ormai perduto, nella sonnolenza di questo nostro Occidente che preferisce non vedere e non sentire, al quale per tacitarsi la coscienza sono bastati due giorni di attenzione delle cronache, il minimo sindacale dovuto a una tragedia che non fa notizia.
Ma qualcosa si sta muovendo. È stata la fiera e volenterosa mobilitazione delle diocesi serbe (mobilitazione d’opinione, non potendo osare di più) e di Sanja Pajic, ricercatrice della facoltà di Arti applicate dell’università di Kragujevac a far da volano, a innescare un movimento di intelligenze che da noi si sta propagando in tempo reale, attraverso i capillari canali della rete, fino a forare il muro di gomma dell’ignoranza e del silenzio, più o meno colpevoli. A lanciare il sasso nello stagno era stato qui da noi Massimo Cacciari, con la sua consueta ruvida, anticonformista libertà intellettuale. Nei giorni di fuoco di fine marzo, il filosofo dalla nera barba talebana aveva affidato una sorta di appello alle colonne di un grande quotidiano nazionale: «… Si parla tanto di Europa e delle sue radici senza conoscerne la cultura. Il Kosovo ospita opere d’arte di straordinaria qualità e importanza per la vicenda europea. La distruzione di un edificio, di un ciclo di quegli affreschi equivale al massacro di San Marco, di San Vitale e Sant’Apollinare a Ravenna. È la stessa area paleocristiana influenzata da Bisanzio… Per noi europei i cicli pittorici serbo-ortodossi sono diecimila volte più significativi dei Budda di Bamiyan».
Fatto sta che l’appello «Salva i monasteri in Kosovo» risulta oggi sottoscritto da un centinaio di personalità italiane del mondo della cultura, dell’università, della politica, dello spettacolo. Colpisc e in particolare la presenza, in calce, del fior fiore degli storici dell’arte medievale e moderna, con i nomi autorevoli di Carlo Bertelli, Enrico Castelnuovo, Michele Bacci, Jadranka Bentini, Giovanni Morello, Lionello Puppi, Bruno Toscano, Maria Giovanna Muzj, Rosa D’Amico, tutti studiosi di fama internazionale. Ed è stata proprio Rosa D’Amico, direttore della Pinacoteca nazionale di Bologna, esperta di arte bizantina e curatrice della bellissima mostra di Rimini dedicata a Paolo Veneziano e alla pittura adriatica del ‘300, a canalizzare il flusso di informazioni provenienti dal Kosovo, prodigandosi in un fitto lavoro di contatti personali e di sensibilizzazione via internet, conquistando l’adesione di Francesco Cossiga, di Marcello Veneziani, di Vittorio Sgarbi e di tanti altri. Fino a ottenere un primo fattivo rilevante risultato: il coinvolgimento delle nostre massime istituzioni. Sarà infatti la Camera dei Deputati a ospitare, giovedì 27 maggio alle 12, la conferenza stampa di presentazione ufficiale del comitato, dell’appello e del sito «salva i monasteri del Kosovo», nonché delle nuove iniziative collegate.
Insomma un «movimento» nato spontaneamente e in modo quasi sotterraneo sta propagandosi a macchia d’olio, in modo trasversale, scuotendo le coscienze e la cortina dell’indifferenza. Un movimento – ed è qui il bello di questa storia – «lanciato» dal lavoro di uno sparutissimo gruppetto di persone in collegamento via e-mail: la Pajic, la D’Amico affiancate da pochi altri singolari personaggi come la regista televisiva Elisabetta Valgiusti, autentica vestale della mobilitazione, come don Sergio Mercanzin, sacerdote padovano da trent’anni a Roma, fondatore del centro culturale Russia Ecumenica, e infine come Marzio Lolli Ghetti, webmaster curatore del sito, il quale spiega: «Personalmente, non potevo non aderire a un così nobile invito. La cancellazione del passato distrugge anche il presente di un popolo e, in questo caso, di una fede. Nei prossimi giorni , cercheremo di dare la massima visibilità al problema, pubblicando nel web una galleria aggiornata di immagini delle distruzioni e una mailing list a disposizione di tutti».


Avvenire 23-5-2004