(Avvenire) Il senso della miseria

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IL TESTAMENTO DEL GRANDE SCRITTORE CATTOLICO

Bernanos Elogio dei miserabili

Sessant’anni fa, il 5 luglio 1948, moriva l’autore dei «Dialoghi delle Carmelitane». Qui pubblichiamo  un testo poco noto, dedicato ai poveri, che avrebbe dovuto costituire il prologo di una Vita di Gesù

di Georges Bernanos 

Vorrei scrivere questo libro per i più miserabili degli uomini. Vorrei anche scriverlo nel loro linguaggio, ma questo non mi è permesso. Non si può imitare né la miseria né il linguaggio della miseria. Bisognerebbe essere un miserabile per partecipare senza sacrilegio al sacramento della miseria.
  Cristo è venuto in questo mondo, e vi è venuto per tutti, e non solamente per i miserabili. Intorno alla sua mangiatoia, si sono visti i Pastori e i Magi ma né i Pastori né i Magi erano dei miserabili. È possibile che il buon Ladrone lo fosse, ma non se siamo sicuri.
  Contrariamente a quel che credono i moralisti, la vera miseria non sfocia nel crimine, essa non ha esito né nel male né nel bene, la vera miseria non ha esito. La vera miseria ha esito solo in Dio.
  La miseria non ha via d’uscita che in Dio, ma essa non vuole via d’uscita. Essa si chiude su di sé. Essa è murata, come l’Inferno. Bisogna tuttavia che la cristianità vi discenda. Per tutto il tempo che noi tollereremo un inferno in questo mondo, saremo forzati ad attendere a casa nostra il regno di Dio.
  L’inferno di questo mondo è l’inferno stesso. Ne è l’atrio e il serraglio. Satana è il dispensatore delle ricchezze, ma il tesoro di Mammona è vuoto. È nell’inaccessibile fondo della miseria che Satana si è trincerato, per la confusione e la costernazione dei ricchi stessi. L’oro non è che un simulacro, un’impostura, una trappola di colui che si dice l’idolo del mondo. Mentre l’umanità guarda volare le mosche, non vede restringersi il cerchio dell’orizzonte, discende nella miseria, è aspirata dalla miseria. Il potere della miseria non si giudica dal numero dei miserabili, cioè dal numero d’uomini che mancano assolutamente del necessario. È possibile che la società moderna la finisca con la povertà, forse soltanto eliminando a ogni generazione i nati poveri, gli inadatti, gli inadattabili, con una regolamentazione delle nascite e una stretta selezione. Io non credo per niente che riducendo il numero dei poveri si riduca al tempo stesso quello dei miserabili. Io penso al contrario che il misericordioso sacerdozio della povertà fu precisamente stabilito in questo mondo per riscattarlo dalla miseria, dalla feroce e contagiosa disperazione dei miserabili. Se noi potessimo disporre di qualche mezzo per scoprire la speranza come il rabdomante scopre l’acqua sotterranea, è avvicinando dei poveri che noi vedremo torcersi tra le nostre dita la bacchetta di nocciolo.
  La povertà non è un uomo che manca, per stato, del necessario, è un uomo che vive poveramente, secondo l’immemoriale tradizione della povertà, che vive giorno per giorno, del lavoro delle sue mani, che mangia nella mano di Dio, secondo la vecchia tradizione popolare. Egli vive non solo dell’opera delle sue mani, ma anche della fraternità degli altri poveri, delle mille piccole risorse della povertà, del previsto e dell’imprevisto. I poveri hanno il segreto della speranza…

Nei suoi romanzi l’eterna lotta fra bene e male
R
icorre quest’anno il sessantesimo anniversario della morte del grande scrittore cattolico francese Georges Bernanos: morì infatti a Parigi il 5 luglio 1948. Bernanos era nato a Parigi nel 1888: la sua educazione profondamente religiosa lo fece avvicinare prima ai circoli cattolico­nazionalisti dell’Action Française, da cui si staccò nel 1932. Ha esordito con il romanzo
Sotto il sole di Satana e Nuova storia di Mouchette. La fama gli venne con il Diario di un parroco di campagna, da cui fu tratto un noto film di Robert Bresson (foto a fianco): la storia di un giovane sacerdote, minato da un male incurabile, nominato parroco di Ambricourt; egli annota in un diario le vicende della lotta quotidiana contro l’indifferenza e l’ostilità dei suoi parrocchiani. Il parroco riuscirà a redimere molte di queste anime. Le sue ultime parole prima di spegnersi, benedetto da un vecchio compagno di seminario, lo spretato Dupréty, esprimono la gioia finalmente conquistata: ‘Che importa? Tutto è grazia’. Nel 1934-37 fu in Spagna. Il libro che ne scaturì, I grandi cimiteri sotto la luna, è un’aspra requisitoria contro il franchismo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale era in Brasile, dove svolse attività giornalistica a favore della Francia libera.
  Tornato in Francia pubblicò
Monsieur Ouine. Postume sono uscite varie opere, tra cui il dramma Dialoghi delle carmelitane e numerosi scritti di carattere etico e politico. I romanzi di Bernanos sono l’occasione di rappresentare violenti conflitti spirituali, in uno stile realistico e visionario che dà sorprendente grandezza ai personaggi più umili. Ha una visione drammatica delle coscienze individuali, spesso ritratte tra purezza e degradazione; tema di fondo è la ricerca della santità, che i suoi eroi raggiungono al termine di una lotta dove il male sembra fino all’ultimo avere la meglio sul bene. Il testo che qui pubblichiamo è tratto dal volume di Albert Béguin, il suo principale biografo e critico, Bernanos par lui- même, uscito nel 1961 e mai tradotto in Italia. Sono le uniche pagine esistenti della Vie de Jésus, che Bernanos iniziò in Brasile nel 1943 e che non portò mai a compimento.
  Del testo si parla anche nel volume
Quasi una vita di Gesù curato da Marco Ballarini per le edizioni San Paolo nel 1998. (R.A.)

Avvenire 22-6-2008