(Avvenire) Il nunzio in Kuwait: l’Occidente, necessario e detestato

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INTERVISTA
Parla monsignor De Andrea: «Chi si convertisse perderebbe gran parte dei dirittI civili»

Il nunzio in Kuwait: l’Occidente, necessario e detestato

«È per antonomasia un intruso, un invasore, mi stupisce che gli Stati Uniti non l’avessero messo in conto e che fossero convinti di essere accolti come liberatori» «Per importare libri cristiani serve il permesso del governo»

Dal Nostro Inviato A Kuwait City Giorgio Ferrari

Avvenire 30-3-2003 Il piccolo appartamento sull’Arabian Gulf Street si affaccia sul mare. Il missile iracheno che ieri notte ha solcato le acque per schiantarsi nel cuore della città è passato proprio di qui, a un passo dalla sede della nunziatura. Sono tre anni che l’arcivescovo Giuseppe De Andrea, nunzio apostolico in Kuwait, Bahrein e Yemen, piemontese, una lunga esperienza all’Onu, risiede in partibus infidelium. «Ma gli infedeli, lei lo sa bene, per loro siamo noi».
Quanto è vasta la comunità cattolica nel Kuwait?
«Almeno centomila persone, centomila expatriates».
Cosa vuol dire?
«Li chiamano così, i cattolici: espatriati, o immigrati. Perché di fatto lo sono».
Da dove provengono?
«India, Filippine, Pakistan, Sri Lanka, Egitto. In Arabia Saudita ce n’è un milione, nel Qatar almeno quarantamila».
Nessun kuwaitiano?
«Impossibile. Se si convertisse perderebbe gran parte dei diritti civili. Gli e xpatriates non possono ottenere la cittadinanza, non possono avere proprietà, nemmeno se passano qui tutta la loro vita. Qualcuno che si converte c’è, ma lo fa in segreto, salva le apparenze».
Come sono trattati i cristiani, sono perseguitati?
«No. A Kuwait City c’è un vicariato apostolico con un vescovo – il maltese Mikallef – e una cattedrale, la Holy Family Church. Una bella chiesa, ma è diventata troppo piccola: i fedeli non ci stanno mai tutti, si fa fatica al momento della comunione perché chi sta dentro deve uscire per lasciare entrare chi è rimasto fuori. Ho trascorso la Pasqua a Dubai. Il Venerdì Santo c’erano 8-10 mila persone in chiesa. Succede anche qui. Una volta al mese si chiudono in una veglia di preghiera che comincia alle 9 di sera e termina alle 5 del mattino. Beninteso: la Messa della domenica si fa di venerdì, che è giorno festivo. La domenica qui si lavora. La fede c’è, come vede, il guaio è dove non possiamo arrivare, come in Arabia Sau dita».
Sono molte le limi tazioni?
«È difficile evangelizzare. È difficile anche diffondere libri liturgici, pensiero cristiano. Per importarli occorre il permesso del governo. Ogni tanto i governi compiono qualche passo. In Qatar hanno concesso un terreno a noi, ai protestanti e agli ortodossi. Ci costruiremo delle chiese, dei centri, delle sale. Da quando sono qui ho consacrato due chiese, una a Dubai e una negli Emirati. Nello Yemen va un po’ meglio, perché il governo ha accolto quattro centri delle suore di Madre Teresa e un gruppo di salesiani».
Cosa pensano degli occidentali nella penisola arabica?
«Hanno una memoria da elefante. Per loro la parola “crociata” ha davvero un senso. L’Occidente è per antonomasia un intruso, un invasore. È successo perfino in uno Stato laico come l’Iraq. Mi stupisce che gli Stati Uniti non l’avessero messo in conto: erano convinti che sarebbero stati accolti come dei liberatori e invece la realtà sta rivelandosi molto diversa».
Esiste il pericolo dello scontro di civiltà di cui parla lo storico Huntington e che la Santa Sede teme possa divenire un conflitto di religioni?
«Il pericolo c’è, ed è stato lungamente sottovalutato. Io temo più che un conflitto un’ostilità sorda. L’Occidente ha trovato alleanze in quel 2-3 per cento della penisola arabica che detiene il potere politico e finanziario, ma questo non vuol dire che questi siano Paesi alleati, sono poteri alleati. La gente comune non la pensa così».
Come la pensa?
«Come le viene insegnato nella moschea. Qui c’è un forte fondamentalismo, la scuola coranica walhabi è quella predominante. Un bambino di cinque anni impara fin dalla prima età che l’occidentale è un nemico, non ha gli strumenti per considerarlo altrimenti».
Cosa non tollerano dell’Occidente?
«C’è un’opposizione profonda, direi etnica, alla quale si sovrappone l’esile velo islamico, ma il fenomeno è molto più radicato di quanto si possa pensare . La superiorità tecnologi ca occidentale è da sempre vissuta come una minaccia, anche se tutti sanno bene che senza la tecnologia dell’Occidente in pochi anni tornerebbero con i cammelli sulla sabbia. Dunque hanno bisogno dell’Occidente per conservare la loro prosperità, soprattutto in Kuwait, negli Emirati, nel Qatar, ma nello stesso tempo lo temono e lo detestano, soprattutto la gente comune. In certe moschee – non in quelle kuwaitiane perché qui le prediche sono regolate e controllate dallo Stato – gli imam dipingono l’Occidente come il regno della pornografia, della musica, della corruzione, il regno di Satana che minaccia direttamente la loro identità».
Non ho ancora visto manifestazioni antiamericane qui in Kuwait, come invece vi sono in Egitto, Giordania, Pakistan…
«Non le permetterebbero. Questo è uno Stato paternalista con un governo famigliare che distribuisce la ricchezza. Non c’è pericolo di rivoluzione in Kuwait, perché lo Stato offre luce, gas e telefono gratis, paga la scuola , la sanità, a 40 anni si può andare in pensione. Il governo è favorevole alla guerra, come molte nazioni della Lega Araba, a patto che siano gli altri a farla. Saddam Hussein è un nemico, li ha invasi, ma non so se tutti i kuwaitiani siano contro di lui».
Come è possibile che gli americani non lo abbiano capito?
«Ho trascorso 41 anni negli Stati Uniti. Amo quel popolo e so che è ingenuo. Non è arrogante come si pensa, ma forse si fida eccessivamente del suo pragmatismo. Da qualche decennio non ci si chiede più in America se una cosa sia buona o giusta, ma se sia utile, se funziona. Non sono così invece gli inglesi e i francesi, che hanno lunghe tradizioni, hanno avuto le colonie, sanno capire, mediare. E poi c’è il profitto, che ha fatto chiudere cento occhi a tutti quanti fin dal tempo dell’impero ottomano. Gran parte del mondo arabo è stato disegnato dagli occidentali, sono linee dritte sulla carta geografica».
Il profitto l’hanno fatto anche i signori del petrolio, il p reziosissimo Arabian Light, che scorre come un oceano sotto il Golfo…
«Certamente, anche gli arabi apprezzano il profitto. Vedo una gioventù kuwaitiana piena di automobili, orologi rolex, privilegi, case in Svizzera. E senza un’idea per la testa, senza un vero futuro. Peccato, perché è una bella gioventù».
Come sormontare questa incomprensione fra i due mondi?
«Ripartendo da zero, dall’educazione. Spegnendo il fuoco del fondamentalismo, ovunque esso sia, imparando a guardare le cose dall’altro lato, cercando di capire le ragioni dell’altro, dell’infedele».
Cosa pensa della guerra in corso?
«Che c’è un’orgia di sangue in televisione, che bisognerebbe guardarla di meno, perché diventa come una droga, dà assuefazione, toglie valore alla vita. Sono molto preoccupato per l’effetto che una dose così massiccia di orrore quotidiano può produrre su tutti. Per non parlare dell’informazione, che mi pare troppo di parte, sia quella occidentale si a quella araba».