(Avvenire) G.P. II visto da vicino

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Avvenire 1 Marzo 2009

Il libro
: «Il mio Ka­rol » di Aldo Maria Valli
«Così ho raccontato Wojtyla. Così lui mi ha parlato»

Mai Roma ha conosciuto un’invasione così massic­cia e ordinata. Forse davve­ro per capire chi è stato Giovanni Paolo II basterebbe ricordare l’infi­nita catena di preghiera che ha ac­compagnato il suo ultimo viaggio. Un corteo ininterrotto di cardinali, vescovi, sacerdoti, religiose e so­prattutto tanta, tantissima gente co­mune. Aldo Maria Valli era in piaz­za San Pietro la notte in cui il cuore di Karol Wojtyla si è fer­mato. Prima la corsa alla posta­zione Rai per il collegamento. Poi la lunga di­retta dai mi­crofoni del Tg3, come immerso in una bolla d’aria, senza più senti­re i rumori e le voci del villaggio del­l’informazione che circondava il Va­ticano. «Quando finalmente mi di­cono che sono in onda – scrive Val­li – incomincio a parlare ma ho una strana sensazione: è come se fosse un altro a parlare per me, e io lo a­scolto. Sto raccontando la morte del Papa. Del mio Papa». I ricordi, più vivi che mai del vatica­nista, oggi al Tg1, sono raccolti in un libro, edito dalle Paoline. «Il mio Ka­rol » (pagine 320, 24 euro), non è u­na biografia, anche se non manca­no i numeri del Pontificato e le tap­pe centrali dell’esistenza di Wojtyla. Non è neppure un reportage, mal­grado molte pagine siano dedicate alle mete dei viaggi di Giovanni Paolo II.

Potremmo definirlo il raccon­to di due vite che si intrecciano. Nel 1978 quando l’arcivescovo di Cra­covia venne eletto Papa, Aldo Maria Valli aveva vent’anni: era uno stu­dente con la passione per il giorna­lismo. Il 2 aprile 2005 quando Wojty­la morì, era diventato un affermato professionista dell’informazione, sposo e padre di sei figli. In mezzo ci sono ventisette anni di vita e tren­tadue viaggi in cui, per così dire, il vaticanista ha accompagnato il Pon­tefice. Del primo sul volo papale, in Ungheria (settembre 1996), Valli rac­conta un episo­dio curioso. Era capitato accan­to a Orazio Pe­trosillo e il vati­canista del «Messaggero» gli diede un singolare consiglio: «O­gni volta che durante il viaggio ti of­frono da mangiare, accetta senza fa­re complimenti, perché non ci sono orari e non sai mai quando potrai mettere qualcosa sotto i denti». Fu proprio in Ungheria che Navarro Valls rivelò che il Papa soffriva di u­na sindrome extrapiramidale, cioè del morbo di Parkinson. Una ma-­lattia che se riuscì a invadere e fiac­care il corpo, non ebbe mai il so­pravvento sullo spirito, mai riuscì a indebolire quella straordinaria «missione» di cui Wojtyla stesso a­veva parlato nel 1994 dopo il rico­vero al Gemelli per la frattura del fe­more: «Il Papa – disse nell’occasio­ne – deve soffrire perché il mondo veda che c’è un Vangelo superiore, il Vangelo della sofferenza con cui si deve preparare il futuro».

Ma se la malattia è stata fonda­mentale soprattutto nella seconda parte del suo Pontificato, l’elemen­to che Giovanni Paolo II ha messo al centro sin dall’inizio è stato la per­sona umana con i suoi diritti fon­damentali. Primo fra tutti il diritto alla vita stessa e alla libertà religio­sa. Temi risuonati pressoché in tut­ti i viaggi del Papa sia in Italia che al­l’estero e che, ovviamente, ritrovia­mo nelle pagine di Valli. Capitoli, frammenti di vita che il vaticanista racconta con una professionalità senza sconti e insieme con traspor­to ed affetto. «C’è – scrive Gianni Riotta nella prefazione – nella sua prosa, un certa meraviglia, un cer­to candore, una forma di stupore davanti al destino, provvidenza è la parola che lui preferisce, che lo ha scelto per assistere a una evangeliz­zazione che non ha pari nella sto­ria ». Nessuna ansia di scoop nelle pagi­ne di Valli o rivendicazione orgo­gliosa del proprio ruolo. Solo la re­sponsabilità e la bellezza insieme di raccontare un uomo tanto grande e che tanto ha significato per lui. Il volto di Wojtyla, i suoi documenti ne hanno accompagnato la giovi­nezza e la maturità. «Mi ha parlato mentre ero studente e mentre cer­cavo il primo lavoro, si è rivolto a noi quando ho conosciuto Serena, quando ci siamo sposati e quando sono venuti al mondo i nostri figli». Parole, che adattate alle singole sto­rie, in tanti possono sottoscrivere.

E come succede per le persone care, ognuno ha il proprio ricordo di Gio­vanni Paolo II. Quello di Aldo Maria Valli, singolarmente emerge duran­te la telecronaca dei funerali, ed è legato al colore bianco. «Della neve e del ghiaccio che il Papa amava. C’è una foto di Wojtyla in montagna, nello scenario di un ghiacciaio. È fe­lice di essere lassù – scrive –, sorri­de con il viso e con gli occhi. Lo ri­cordo così, il mio Karol».

Riccaro Maccioni