(Avvenire) Famiglie ed unioni di fatto le regioni scardinano la costituzione

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Intervista al segretario della Cei, preoccupato per i provvedimenti legislativi a livello statale e regionale.

Betori mette in guardia dagli strappi sulla famiglia

A quanti si accingono a emanare provvedimenti legislativi
sulla famiglia, a livello statale o regionale, monsignor
Giuseppe Betori ricorda che il dettato della Costituzione
riconosce e tutela la famiglia intesa come
“società naturale fondata sul matrimonio”.
Ogni equiparazione di altre forme di convivenza risulta
«infondata e non può essere condivisa», afferma il
segretario generale della Cei, non nascondendo la propria
«viva preoccupazione» in questa intervista ad Avvenire.
In cui, tra l’altro, afferma:
«È in questione il volto e il futuro del Paese».

Come considera, monsignor Betori, le proposte legislative
che toccano la famiglia?

Nelle ultime settimane sono in discussione proposte e
interventi legislativi che riguardano la condizione
giuridica della famiglia da un lato, e delle cosiddette
unioni di fatto dall’altro, sia in Parlamento, in seguito
all’esame delle proposte di legge presentate in materia,
sia nelle Regioni, dove sono in discussione le proposte
di statuti.
Non può che suscitare viva preoccupazione la recente
evoluzione del dibattito su temi delicatissimi che vanno
a toccare natura, fondamento e ruolo della famiglia nel
nostro Paese.

Qual è la posta in palio?

Si tratta di tematiche che presentano delicati profili
di carattere etico e una forte valenza sociale.
È in gioco la dignità della persona e la solidità delle
strutture fondamentali della collettività.
Va quindi salvaguardata e promossa la famiglia come
“società naturale fondata sul matrimonio”, secondo la
felice espressione utilizzata dalla nostra Costituzione.
Essa è titolare di diritti originari, significativamente
riconosciuti a livello costituzionale, anche se troppo
spesso non adeguatamente tutelati dalla legislazione
ordinaria.
Sotto questo profilo, si deve tornare ad auspicare che
gli sviluppi del quadro normativo, sia a livello regionale
sia a livello nazionale, finalmente consentano un’adeguata
piena realizzazione del favor familiae che caratterizza in
modo peculiare il nostro ordinamento costituzionale.

In vari Statuti regionali e in diverse proposte di legge
presentate in Parlamento si equipara la famiglia fondata
sul matrimonio alle unioni di fatto.
Che cosa si può dire al riguardo?

Eventuali soluzioni legislative volte ad affermare e a
promuovere una equiparazione fra la famiglia legittima e
le diverse forme di convivenza, ovvero il riconoscimento e
la tutela di queste ultime, risultano infondate e non
possono essere condivise.

Per quale motivo?

Occorre riaffermare che si tratta di situazioni non
assimilabili, radicalmente diverse rispetto alla famiglia
fondata sul matrimonio.
Per questo non può che destare gravi preoccupazioni e
fondate riserve il tentativo di introdurre
surrettiziamente, attraverso alcuni statuti regionali,
forme di indebita equiparazione.

Siamo dunque di fronte a un tentativo di cambiare nei
fatti la Costituzione?

Diciamo che si interviene in modo improprio su un ambito
che per la sua rilevanza in materia civile e per la sua
incidenza sui diritti fondamentali delle persone
appartiene al nucleo essenziale della legislazione dello
Stato.
È in questione il volto e il futuro del Paese.

MimmoMuolo
Avvenire, Sabato 31 luglio 2004