(AsiaNews) La Cina ha bisogno di cristianesimo

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di Bernardo Cervellera
www.asianews.it

6 Maggio 2004 EDITORIALE

CINA – EUROPA

La visita del Primo ministro cinese Wen Jiabao dal 6 maggio in Italia è all’
insegna dell’economia. A Roma partecipa con un intervento al seminario della
Confindustria sugli Investimenti. Il sabato andrà in Toscana a incontrare
selezionatissimi imprenditori cinesi, visitando musei, industrie del cuoio e
di motorette.

La scelta della Roma del potere economico, della Firenze degli Uffizi e
della Pisa del cuoio sono un segno abbastanza chiaro che a Wen Jiabao (forse
solo per ora) non interessa la Roma dei Papi. E il suo interesse storico per
l’Italia è più per Marco Polo, mercante, e per il Rinascimento italiano,
cioè per una cultura che ha esaltato il potere dell’uomo emarginando il
potere di Dio.

Noi missionari siamo stati fra i primi a gioire per le nuove riforme
economiche di Pechino; abbiamo applaudito alla sua entrata nel WTO, che ha
salvato dalla fame 200 milioni di cinesi; sostenuto la candidatura di
Pechino alle Olimpiadi del 2008. I cattolici cinesi, anche se colpiti dalla
persecuzione, sono fra quelli che hanno più a cuore lo sviluppo economico
del loro paese. Non si interessano solo alla cura di handicappati o di
bambine abbandonate, ma lavorano come imprenditori, insegnanti, tecnici
idraulici, albergatori.

E proprio per amore al progresso della Cina, diciamo che l’attuale sviluppo
del gigante asiatico è poco rispettoso dell’uomo e di Dio. Il vortice dei
progetti industriali e commerciali sta producendo, con la stessa velocità,
povertà e miserie, licenziamenti e insoddisfazione non solo nelle città, ma
anche nelle campagne. La nostra agenzia ha spesso citato le cifre che gli
stessi esperti cinesi pongono sotto gli occhi della leadership: 170 milioni
di disoccupati; disuguaglianze fra ricchi e poveri; palesi ingiustizie verso
contadini e lavoratori migranti. Il frutto di questo sviluppo squilibrato
sono 250 milioni di cinesi insoddisfatti che per ora si limitano a fare alme
no 100 mila manifestazioni all’anno, scontrandosi con la polizia o
assaltando le sedi di partito. E vi sono mezzo miliardo di credenti cinesi
costretti a vivere la fede di nascosto o nel privato, data la voglia di
controllo e il disprezzo ufficiale per qualunque fede.

Un consigliere del governo cinese mi ha detto, pochi mesi fa di condividere
la mia analisi “al 90%”. Ed è probabile che anche il premier Wen Jiabao la
condivida, viste le scelte lanciate quest’anno con il freno alla crescita
economica e l’inizio di investimenti nelle campagne. Il “10%” di disaccordo
sta nella questione della libertà religiosa e dei diritti umani.

Il problema della Cina è che le ditte italiane ed europee demonizzano le
fabbriche cinesi – che “rubano” lavoro all’Italia – ma accarezzano una
struttura di liberalismo selvaggio che è il paradiso degli imprenditori:
niente sindacati, costi minimi; nessun controllo statale, ecc…Nessuno di
loro chiede la libertà religiosa, considerata un ostacolo o una cosa
secondaria rispetto al commercio, qualcosa che rovina la piazza del mercato
e dei guadagni veloci.

Invece diverse ditte americane – più delle europee – ad ogni firma di
contratto mettono alcune condizioni etiche: un salario dignitoso per gli
standard cinesi; una mensa pulita; dormitori con non più di 6 persone per
stanza (e non 50-60 o perfino 100); chiedono la liberazione di qualche
dissidente o di qualche vescovo o prete; chiedono perfino la costruzione di
qualche chiesa.

La libertà religiosa permette uno sviluppo “per l’uomo”, più equilibrato,
rafforzando l’etica del lavoro e la solidarietà fra le persone. Chiedere
alla Cina la libertà religiosa è a favore del suo sviluppo economico. Senza
l’elemento religioso, il rapporto fra oriente e occidente scade a reciproco
sfruttamento economico.

Alcuni anni fa Giovanni Paolo II, ricordando la figura del p. Matteo Ricci,
l’ha definito “un prezioso anello di congiunzione fra l’Occidente e l’
Oriente, tra la cultura europea del Rinascimento e la cultura della Cina”.
Grazie a lui, al suo amore e al suo rischio dettato dalla fede, la Cina ha
conosciuto le scienze matematiche, fisiche e la tecnica. L’occidente ha
conosciuto lo stile di governo, l’arte, le scoperte di una cultura che
rischiava la chiusura. Oggi, senza l’interesse alla fede, l’occidente
europeo rischia sempre meno e la Cina diventa sempre più un colosso dallo
sviluppo fragilissimo.

Vale la pena notare che intellettuali e sociologi delle università cinesi
dicono che il cristianesimo è quello che ci vuole per la Cina: dà un senso
del valore assoluto dell’individuo, fondando la legalità, che lo stato o il
potere non può schiacciare e crea una mentalità di amore e di carità che
spinge davvero a “servire il popolo”. Questo motto di Mao, per nulla
realizzatosi né col comunismo, né col capitalismo attuale, si realizzerà con
il cristianesimo. Gli intellettuali cinesi hanno preso il percorso contrario
a quello dell’Europa, che ha smarrito le sue radici cristiane ed è divenuta
stanca di vivere. Speriamo che Wen Jiabao non segua questi cattivi maestri.