Ancora su Dan Brown e il suo metodo

  • Categoria dell'articolo:Notizie

Sharing is caring!

Un inedito del prof. Pietro de Marco.


Carissimi,  poiché siete tornati su Dan Brown, vi allego per curiosità un mio intervento rimasto tra le carte (i files) inedite di un giornale cattolico. Tocco solo punti particolari, dando per scontata gran parte delle obiezioni e stroncature circolante.
Buon lavoro!  Pietro De Marco


La cifra letteraria del Codice da Vinci, artefice del suo enorme successo di pubblico, non è misteriosa. Come altri prodotti del genere, e come quello che può esserne considerato il capostipite, Il nome della rosa di Umberto Eco, anche il libro di Dan Brown è l’abile sovrapposizione e contaminazione di più generi. Non solo di due, dunque, che è soluzione antica, dal romanzo storico che è roman philosophique al poliziesco che è saggio sociologico, dal racconto breve che è studio psichiatrico alla science fiction che è anche distopia, oppure fiaba di magia, fantasy – ma di molti contemporaneamente.


Il vantaggio strategico-narrativo è quello di raggiungere tanti pubblici diversi quanti sono i generi, anzi potenzialmente quante sono le combinazioni tra i generi. Se il Nome della rosa era saggio filosofico e romanzo storico-gotico, scrittura a tesi e divertito montaggio di citazioni (quindi gioco col lettore), Il codice da Vinci, ad un livello di minor dignità culturale e di scrittura, è un congegno che somma il poliziesco e noir di materia ecclesiastica (il Vaticano e i mitici corpi occulti della Chiesa romana; qui l’Opus Dei, al posto del protagonismo noir gesuitico praticato per secoli dalla letteratura anticattolica e anticlericale), l’esoterismo e il femminismo. Non senza ammiccamenti di spermo-gnosi. Inoltre, sotto il richiamo dominante ma non esclusivo di Leonardo, il Codice è pensato come guida (assai fortunata) per un turismo artistico-esoterico europeo alla portata di tutti.


Il successo del racconto consiste, dunque, nella sua multileggibilità che attrae tatticamente più palati, quelli avvezzi al gusto del romanzo “contro il potere” (qui clericale) come quelli desiderosi di una ennesima storia ridotta al Femminino, passando per contesti raffinati, crittografie e tarocchi. Se il successo è anche un sintomo dell’attenzione diffusa a temi di “spiritualità”, come si è detto, questi ultimi sono comunque abilmente declinati in termini di Rivelazione alternativa: “Avevate creduto, perché vi avevano fatto credere, questo, ma noi vi diciamo …”, “Ciò che appare e ha potenza nella storia, e nella religione, è alterazione del profondo e segreto Vero. Guardate con i vostri occhi…”. Pubblicistica e pubblici mondiali convergono nel premiare chi si presenti, su qualsiasi fondamento, nell’atto di “stracciare un velo”. E sulla scia di Dan Brown è stato pensato, fin troppo scopertamente, il lancio della “falsa scoperta” (come si è detto a buon diritto) del tardo Vangelo gnostico di Giuda. Ed è interessante, sintomatico in maniera quasi umiliante, che mentre il nostro progressimo esegetico (cattolico) si scatenò contro Carste P. Thiede e p. O’ Callaghan, per il grave peccato di voler anticipare la data della redazione del Vangelo di Marco, nessuna figura autorevole della scienza cattolica sembra avere preso posizione, con analisi e ragionamenti, contro l’operazione promossa dalla National Geographic Society tramite i suoi “detective biblici”.


Dunque siamo di fronte, col Codice da Vinci non meno che con la divulgazione del Vangelo di Giuda, ad un’ennesima conferma del fenomeno, o sindrome, per cui il pubblico di media cultura, a livello mondiale, predilige sentirsi dire che mondo e storia come si manifestano sono illusione o falsificazione, dalla persona di Gesù all’occulto dominio della Banca mondiale, dalla finzione dell’uomo sulla Luna all’incidente di Lady Diana che sarebbe in realtà un attentato, dalla “vera immagine” di Giuda fino ai “veri responsabili” dell’11 settembre. Vivere nel sospetto e trovarne conferme, non importa se affabulate, ciniche o deliranti, dà all’opinione pubblica un’ebbrezza di libertà. Si tratta, in effetti, della postmoderna generalizzazione nichilistica dell’invenzione moderna dello “spirito critico”. E questo nihilismo continua ad ipnotizzare anche la critica cattolica.


Ma premono di più due osservazioni su altro terreno. La prima. Nella costruzione della materia gnostico-femministica è in Dan Brown primaria l’elicitazione dei diversi femminismi cristiani, ovvero della religiosità o spirituality femminile alla ricerca di “riconoscimento”. Il romanzo è costruito sul riutilizzo del luogo comune femministico-cristiano della chiesa a dominante “patriarcale”, conquistata da un clero maschile manipolatore del messaggio di Gesù. La protagonista del Codice, che si chiama ovviamente Sophie, è il Femminino potente e misconosciuto, poi avversato, ed anche la chiave di volta dell’edificio di una Rivelazione che sarebbe l’autentico evento cristiano originario, un matrimonio sacro tra un Gesù senza Figliolanza divina e la Maddalena. Un quadro che sarebbe stato poi alterato, anzi espunto, dai testi delle Scritture canoniche. D’altronde non è stata Elisabeth Schüssler Fiorenza, sulla scorta della Pagels e di altre studiose femministe, ad affermare che nella Chiesa del quarto secolo una serie di atti teologici innovanti avrebbero espunto dal patrimonio cristiano le componenti non patriarcali e non gerarchiche, per cui del primato della donna nella chiesa antica resterebbero solo tracce nella letteratura extracanonica, marginale o ereticale? Non sorprende che Dan Brown, con ancora minor scrupolo, abbia trasformato tesi infondate, ma ancora (relativamente) sfumate, in formule ulteriormente grossolane: così apprendiamo che Costantino ha imposto alla fede della Chiesa la divinità di Gesù, e assieme a quello sprovveduto ingoia altri falsi.


La seconda. È certamente ragionevole che il successo del Codice possa essere “letto come una paradossale domanda di conoscenza sulle origini del cristianesimo” (Gian Enrico Rusconi, sulla Stampa). Ma resta difficile accettare che a tale sfida portata all’ “apparato istituzionale” (Rusconi), ma io direi alla Tradizione portante, al cardinal meaning cristiano (sfida che, in letteratura, ha alcuni secoli di storia e di cui il Codice è solo un documento modesto e tardivo), si debba rispondere aprendo ora, tra chiesa, praticanti e uomini religiosi, “un dibattito sulle origini della Chiesa”! L’occasione Dan Brown appare la peggiore e la più compromessa; non vi è, infatti, niente da discutere, non in sede scientifica, tantomeno in sede ecclesiale, in merito ad un matrimonio di Gesù con la Maddalena, o alla centralità del Femminino nel messaggio cristiano delle origini, o all’invenzione tardiva della divinità di Cristo e al “vero senso” inevitabilmente esoterico della sua eredità. I temi di spiritualità in cui Dan Brown riversa un po’ di suspence sono una moda internazionale; non per questo (che pure è un dato su cui riflettere) hanno autorità (anzi, proprio per questo non ne hanno) di problema storico o teologico rilevante per l’autocomprensione cristiana. Denunciare una abile confezione, abile anche nel rimediare in extremis alla demonizzazione dell’Opus Dei (che salva formalmente l’autore, ma non corregge il messaggio essenziale dato al pubblico), non è “fraintendere o eludere” le ragioni di una diffusa e sincera curiosità per la materia religiosa. È, al contrario, prenderle sul serio, per affrontarle con altro metodo.