Alla ricerca di veri maestri

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\"\"Irene Bertoglio Alla ricerca di veri maestri, Edizione in proprio 2008, Euro 12.
 
CERCHIAMO I MAESTRI E FERMIAMO IL RELATIVISMO: LA DENUNCIA DI IRENE BERTOGLIO
 
In quel coro stonato e confuso che è la società contemporanea manca la voce più pura e importante, l\’unica in grado di guidarci verso una realizzazione autentica e compiuta: quella della Verità. E occorre attivarsi, in fretta e con convinzione, per un suo ricupero.  
E\’ questo, in estrema sintesi, il succo della denuncia che la giovane Irene Bertoglio nel suo “Alla ricerca di veri maestri”, rivolge ai suoi lettori.

Forte della freschezza della dilettante ma disinvolta al pari d\’una veterana, Bertoglio non solo grida un disagio quanto mai trascurato dalla generazione dei grandi fratelli e delle veline, ma offre anche un fedele affresco dell\’uomo post moderno e di quel delirio prometeico che tanto lo seduce.
La giovane scrittrice, nella sua denuncia, non fa sconti a nessuno, tanto meno a quegli esponenti del mondo cattolico che fanno il loro ingresso nelle aule parlamentari fiancheggiando alleati nichilisti, dimentichi di un\’etica che mai dovrebbe essere messa ai voti in quanto parte di quelle premesse normative senza le quali, come ci spiega il costituzionalista Böckenförde, l\’istituzione Stato si deformerebbe fino a divenire un deprimente labirinto procedurale qual è, in fondo, l’impianto giuspositivista di kelseniana memoria.
Un abile oratore sintetizzerebbe questo in un “veritas non auctoritas facit legem”.
Peccato la Verità, ad oggi, sia la grande eretica, la grande scomunicata dalle persone potenti e perbene, quelle cioè che vivono all’ombra del politically correct.
 
E pensare che anche la cultura antica, quella che precedente il Cristianesimo, aveva ben chiara la rilevanza insostituibile della Verità e del diritto naturale; fa testo, a questo riguardo, il Minosse platonico, nel quale troviamo definita la legge come la “scoperta di qualcosa che è” (Minosse, 317 D).
Una scoperta che, con ogni evidenza, non allude ad un ritrovamento, bensì ad una tensione incessante verso la Verità, ovvero l\’unità del Bene.
Non a caso, lo stesso termine latino lex – la radice di quello che oggi chiamiamo “legge” – pare derivi dal verbo greco lèghein, che significa appunto “collegare, radunare insieme”.
Ma a questa e ad altre considerazioni simili, l\’uomo contemporaneo pare allergico, affannato com’è dal quel vivere “liquido” magistralmente descritto da Zygmunt Bauman.
Un vivere contrassegnato, come insiste Bertoglio, dal relativismo, inevitabile epilogo del pensiero del più osannato pensatore moderno, quel Nietzsche che, profetizzata l’eclissi post moderna, finì prigioniero della follia della propria mente, che lo perseguitò fino alla fine dei suoi giorni.
Una follia che, per analogia, sembra non risparmiare l’uomo contemporaneo.
 
Gli indizi di questa degenerazione, Bertoglio li rintraccia in più aspetti.
Il più lacerante di questi, è forse la diffusa incapacità di dare un senso al dolore, percepito dai più come un incubo e che, in effetti, solo la vicinanza del martirio di Gesù Cristo può rendere sopportabile.
Peccato che, ad oggi, la “cacciata di Cristo”, per citare il titolo di un bel libro di Rosa Alberoni, sia a buon punto, e il disorientamento diffuso verso la sofferenza lo prova con chiarezza.
Ovviamente, una esiliato l’insegnamento evangelico, l’uomo contemporaneo non ha potuto fare a meno di rimpiazzare l’oggetto delle proprie attenzioni religiose.
E l’ha fatto, come ci suggerisce la giovane penna lombarda, nel modo più rivoluzionario e catastrofico, ossia seguendo, non si sa bene con quale consapevolezza, l’ammonimento gnostico che, com’è noto, capovolge il biblico “non avrai altro Dio all’infuori di Me” nel luciferino “non avrai altro dio all’infuori di te”.
Effetto immediato di questo è la smisurata esaltazione della Libertà, l’idolo moderno per antonomasia.
E’ solo in nome di questa assolutizzazione della Libertà, infatti, che si spiegano leggi vergogna – per stare al panorama italiano – come la 194/’78, che autorizza, nella più trasversale devozione del nostro Parlamento, lo sterminio seriale di esseri umani innocenti.
Da questo punto vista, buona parte del “merito” – ammesso che di merito sia corretto parlare – spetta alla rivoluzione culturale del ’68; una rivoluzione che tutt’ora influenza l’educazione, come dimostra la politicizzazione dei docenti scolastici e gli attacchi contro la famiglia.
Questi ultimi, in particolare, rimangono, seppure aggiornati nella forma, esattamente gli stessi di trent’anni fa.
Non è quindi un caso che i redattori del quotidiano “Liberazione”, solo pochi mesi addietro, abbiano consigliato al loro pubblico letture stagionatelle e dal forte sapore ideologico quali sono il Manifesto di Rivolta Femminile (1970), La morte della famiglia (1972) e Contro la famiglia (1976).
Ad ogni modo, anche chi non si riconoscesse negli editoriali dei quotidiani comunisti, ha la possibilità di rintracciare, sul piano giuridico, la concretizzazione di quel micidiale attacco alla famiglia che è la Legge 898/’70, meglio conosciuta come “la legge sul divorzio”.
Come accade per la 194, si tratta di una legge che oggi più nessuno osa discutere, pena il pubblico linciaggio.
Ma la giovane Bertoglio, a questo omertoso e diffuso silenzio, proprio non ci sta.
E rincara la dose spiegando che “imparare ad apprezzare ciò che si ha, senza rimanere imprigionati nella logica della novità continua, è – nel lungo periodo – molto appagante e fa scaturire un senso di gratitudine nei confronti di chi, nonostante i problemi, ci è rimasto sempre accanto” (p.75).
Parole che farebbero bene leggersi soprattutto quei cattolici rassegnati alla modernità, e che non esitano, in un paradosso grave quanto assurdo, a farsi primi promotori del riconoscimento delle coppie di fatto, anche omosessuali, oltre che dei divorzi ad alta velocità.
Come a dire: già che la famiglia è in difficoltà, distruggiamola del tutto.
Infatti, mentre la Gran Bretagna indirizza il 6,8% della propria spesa sociale alla famiglia, la Francia il 9,2 %, la Germania addirittura il 10,2%, la nostra Italia è ferma ad un desolante 3,7%: se fosse per i politici, insomma, la famiglia, sarebbe estinta da un pezzo.
Ma la politica, grazie al Cielo, non è tutto.
 
E qui, ultimata la pars destruens, volta cioè a denunciare i veleni del relativismo, Bertoglio ci accompagna, nella seconda parte del suo libro, che comincia a partire dal quarto capitolo, nella pars construens: trenta pagine abbondanti nelle quali, ribadita la preoccupante influenza dei “cattivi maestri” – i corifei nell’edonismo nichilista, che appiattisce l’uomo sulla carnalità e declassa l’amore a prestazione, si tratteggia l’unica via d’uscita possibile: la ricerca dell’Infinto.
Una ricerca, si badi, difforme per natura e intensità da qualsivoglia opzione culturale,  inscritta direttamente nell’animo umano, ed alla quale siamo chiamati tutti a partecipare, senza distinzione.
Ma l’unica bussola adeguata a questa ricerca, ancora una volta, è quella del Cristianesimo.
Cristo solo infatti, come disse Giovanni Paolo II nel celebre discorso che invitata tutti a “non avere paura”, ha parole di vita eterna.
Il resto è idolatria, ovvero religiosità retrograda e – questa sì – del tutto irrazionale, vale a l’esatto contrario del Cristianesimo, che invece incarna la vocazione dell’uomo, quello cioè che siamo tutti chiamati ad essere, la nostra vera libertà.
Infatti, come ricorda Bertoglio “la conversione rappresenta il ritrovamento dell’autentico io: la salvezza è sempre possibile per tutti” (p.93).
Quindi, per chi accetta l’amore cristiano, non c’è più giudeo né greco, come direbbe san Paolo, né schiavo né libero, poiché tutti siamo e saremo uniti in Cristo Gesù.
 
L’appello di Irene Bertoglio, contrariamente a quanto il titolo può lasciare intendere, non è dunque un invito a cercare nuovi guru, magari più seducenti ed ammalianti dei precedenti.
Al contrario, è un appello a tutti gli uomini di buona volontà a riscoprire sé stessi, i propri talenti e all’occorrenza i propri limiti, nella realistica ed evangelica consapevolezza che solo la Verità “rende liberi”.
Alla ricerca di veri maestri”, prima che una lettura gradevole e controcorrente, è pertanto un piccolo specchio fatato, che incita il lettore non già all’ipertrofia dell’ego – quello, ahinoi, lo fanno già benissimo il cinema e la televisione – ma alla ricerca della propria intimità più autentica, alla propria dolcezza.
La stessa dolcezza che nessuno conosceva prima che uno sconosciuto galileo in un’altrettanto sconosciuta provincia dell’impero romano, non accendesse la fiamma di una Speranza vera, che non tradisce ma salva.
E’ questa la vera rivoluzione, come recita anche il titolo di una fortunata opera di Erich Fromm, una rivoluzione che non ha nulla a che vedere con i sanguinari esperimenti politici della modernità, ma che alberga solo nell’uomo, che lo libera integralmente.
 
In definitiva, Irene Bertoglio ci ha regalato una piccola perla.
In un numero di pagine accettabile e con una prefazione speciale – a firma di Daniela Santanchè – è infatti riuscita, supportata da una robusta bibliografia, in un’analisi pressoché completa degli inganni contemporanei, fino ad indicare la soluzione al disorientamento.
E forse è proprio questo il merito più grande di Bertoglio: esser riuscita ad immortalare un’epoca, la nostra, dominata dalla fretta – Marcello Veneziani, col suo proverbiale acume, ha parlato di “fast food esistenziale” – eppure complessa, densa di stratificazioni ideologiche diverse eppure convergenti nell’incitamento, per l’uomo, all’autodistruzione che procura l’egoismo.
Sul piano stilistico Bertoglio è lucida, precisa eppure a portata di mano, capace cioè di condurre il lettore con gradualità.
In un mondo che ha fatto dell’immediatezza degli slogan il proprio motto, è un merito anche questo.
 
 

                                                             Giuliano Guzzo