(ACNews) Otto miti sull’Irak

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ACNews 003-2002 — Otto miti sull’Irak.
Milano, 23 dicembre 2002. Sul settimanale Tempi (anno 8, n. 51-52, Milano
19-12-2002/1-1-2003, pp. 12-13, www.tempi.it), diretto da Luigi Amicone e
diffuso come inserto de il Giornale — purtroppo solo in Lombardia e a Roma —
Rodolfo Casadei fornisce un articolato e utile contributo, Otto miti sull’
Irak, alla lotta sul vastissimo fronte propagandistico di quella che
costituisce la “guerra senza limiti”, la “guerra asimmetrica nell’età del
terrorismo e della globalizzazione”, termini illustrati dagli ufficiali e
studiosi di teoria militare cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui in Guerra
senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismi e
globalizzazione (trad. it., a cura del generale Fabio Mini, LEG. Libreria
Editrice Goriziana, Gorizia 2001). Si legge, infatti, nell’occhiello: “Più
la crisi irachena diventa incandescente, più le falsità propagandistiche si
moltiplicano sulla base del solito programma: demonizzare Usa e Occidente.
Qualche informazione per un minimo di obiettività”.

Otto miti sull’Irak
Mito 1: L’Irak non è l’unico paese al mondo che non rispetta le risoluzioni
delle Nazioni Unite. Israele ed altri paesi amici degli Usa disattendono
molte risoluzioni Onu, ma nessuno si sogna di proporre azioni militari
internazionali contro di essi.

Non c’è dubbio: non solo l’Irak, ma molti stati, a cominciare da Israele,
disattendono risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma le risoluzioni disattese
dall’Irak non riguardano contese territoriali o controversie fra stati,
bensì il possesso di armi di distruzione di massa e altri sistemi d’arma la
cui detenzione è interdetta all’Irak di Saddam Hussein in forza della
risoluzione 687/91 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta della
risoluzione che dettaglia le condizioni per la cessazione dell’azione di
polizia internazionale contro l’Irak autorizzata dall’Onu e condotta nel
gennaio-febbraio 1991: una di queste era proprio la distruzione delle armi
che l’Irak avrebbe potuto utilizzare per ricattare la comunità
internazionale anche dopo l’evacuazione forzata delle sue truppe dal Kuwait.
È evidente che non si possono mettere sullo stesso piano una risoluzione
relativa al pericolo per la sicurezza internazionale rappresentato da armi
di distruzione di massa, e per la cui attuazione sarebbe sufficiente la
volontà politica del governo interessato, con risoluzioni che riguardano
crisi circoscritte e che spesso, come nel caso dei territori arabi occupati
da Israele, richiedono per la piena attuazione il concorso di più volontà:
non ha molto senso chiedere ad Israele di ritirarsi dai territori occupati
nel mentre che stati arabi e organizzazioni palestinesi mantengono il
programma di distruggerlo in quanto stato.

MITO 2: Non è vero che l’Irak detiene armi di distruzione di massa. Come ha
spiegato l’ex ispettore Unscom Scott Ritter, gli agenti chimici e
batteriologici che possedeva all’inizio della guerra del Golfo si sono
deteriorati, e le attività per riavviare i loro programmi di produzione,
come pure il programma di armamento atomico, verrebbero immediatamente
scoperte dai satelliti spia.

Il rapporto del Joint Intelligence Committee dei servizi segreti britannici
del 24 settembre scorso (reperibile sul sito Internet del Foreign Office e
su quello della Bbc) smentisce Scott Ritter su tutta la linea. Dopo il 1998,
data dell’interruzione delle ispezioni Onu, Saddam Hussein ha ripreso a
produrre agenti chimici e biologici attraverso laboratori ed unità
produttive mobili e industrie civili del ramo chimico e biotecnologico.
Parte dell’arsenale esistente al tempo del Golfo e non distrutto durante le
ispezioni fra il 1991 e il 1998 (soprattutto i pericolosissimi gas nervini)
è ancora efficiente grazie all’uso di agenti chimici stabilizzatori. L’Irak,
che è autorizzato a detenere solo missili con gittata di 150 km, dispone di
almeno 20 missili proibiti con una gittata di 650 km in grado di trasportare
testate chimiche e batteriologiche, e ha avviato un programma per la
produzione di missili con 1.000 km di gittata. Recentemente l’Irak ha
cercato di acquistare un milione di dosi di atropina e altrettanti
autoiniettatori: è un indizio molto eloquente, perché l’atropina in dosaggi
di 2 mg. è l’unico antidoto contro i gas nervini, e le mini-siringhe servono
a inocularla. Il programma di armamento atomico, smantellato negli anni
delle ispezioni, è ripreso subito dopo il 1998, come dimostrano tentativi di
acquisto di uranio in Africa e di componenti per centrifughe per l’
arricchimento dell’uranio. Aggirando le sanzioni, Saddam Hussein può
produrre armi atomiche entro cinque anni. Se riuscisse a procurarsi uranio
già arricchito e alcune altre componenti, gliene basterebbero due.

MITO 3: Saddam Hussein l’abbiamo armato e coccolato noi. Come al solito,
prima l’Occidente sostiene un dittatore, poi se lo ritrova nemico e ci deve
fare la guerra.

Saddam Hussein è stato sostenuto non solo dall’Occidente, ma da quasi tutto
il mondo arabo, sia i paesi conservatori che quelli radicali, e dopo il 1983
anche dall’Unione Sovietica, in un preciso frangente storico: l’ascesa della
Repubblica islamica dell’Iran, sorta all’inizio del 1979 con la rivolta
popolare che caccia lo scià Reza Pahlavi e porta al potere l’ayatollah
Khomeini. Costui tenta di esportare la rivoluzione islamica in tutto il
mondo musulmano, a partire dalla vicina Arabia Saudita, contro la cui
famiglia regnante scatena una grande campagna propagandistica. E chiama i
popoli alla lotta anti-imperialista contro gli Stati Uniti, il “grande
Satana”, e Israele, il “piccolo Satana”. Nel 1980, quando aggredisce l’Iran
per avere il controllo di tutta la regione di confine dello Shatt-el-arab,
che nel 1975 aveva dovuto cedere quasi completamente allo scià, Saddam
Hussein è certo di aver scelto il momento storico giusto: l’Iran è
militarmente debole perché non può acquistare dagli Usa i pezzi di ricambio
dell’arsenale bellico accumulato ai tempi dello scià; Usa e mondo arabo sono
impauriti dalle prospettive della rivoluzione khomeinista, e perciò lo
aiuteranno. L’analisi si dimostra giusta, ma sul campo di battaglia l’Iran
si rivela più coriaceo del previsto, e otto anni dopo la guerra si conclude
col ritorno dei due contendenti sulle posizioni di partenza. Di fatto, le
ambizioni rivoluzionarie mondiali dell’Iran escono ridimensionate dall’
olocausto della guerra (700 mila morti iraniani, 250 mila iracheni), ma
nasce il problema Saddam: sarà per non dover ripagare gli ingenti debiti
contratti con Kuwait ed Arabia Saudita che il raìs invade nel 1990 l’
emirato.

MITO 4: Saddam Hussein è andato al poter grazie ad un golpe della Cia: gli
Stati Uniti mettono in pericolo la pace nel mondo per distruggere il mostro
che hanno creato loro.

Questa è la più sfrontata delle bugie propagandistiche anti-americane.
Certamente negli anni Cinquanta e Sessanta la Cia non ha lesinato in golpe e
tentati golpe (fondamentale quello, teleguidato dagli americani, che nel
1953 riporta al potere lo scià di Persia), tuttavia il suo ruolo in quello
che nel 1963 depone a Bagdad il generale Kassem e fa entrare nella sala dei
bottoni il partito Baath cui era affiliato Saddam Hussein è marginale. Ma
soprattutto Saddam Hussein c’entra ben poco con quel golpe: si trovava in
esilio a Il Cairo, da cui torna solo nel 1964 grazie ad un’amnistia, e
subito comincia a complottare contro il presidente Arif, salito al potere
grazie al golpe “americano”. Dopo varie peripezie, Saddam entra a far parte
del governo solo col golpe del 1968, e diventerà leader incontrastato nel
1979, dopo aver attuato già nel 1972 le iniziative che più gli americani
temevano: la nazionalizzazione del petrolio e l’ingresso nel governo di
ministri comunisti.

MITO 5: I veri terroristi sono gli Stati Uniti e l’Onu, che hanno imposto
all’Irak un embargo totale che ha causato 1,5 milioni di morti fra i bambini
irakeni.

Nessuno è in grado di quantificare il numero delle vittime civili dell’
embargo, che sono sicuramente meno del milione e mezzo dichiarato dal regime
iracheno, ma certamente sono nell’ordine delle centinaia di migliaia. L’
embargo è stato sin dall’inizio una scelta disumana e sbagliata, perché ha
causato grandi sofferenze senza riuscire a rendere inoffensivo il regime. Il
programma umanitario oil for food avviato nel 1997 ha alleviato la
situazione. Però non è giusto scaricare tutta la responsabilità delle
vittime dell’embargo sulle Nazioni Unite e i paesi membri del Consiglio di
Sicurezza. Non solo perché il regime di Bagdad avrebbe potuto porre fine
rapidamente all’embargo adempiendo sollecitamente alle condizioni della
risoluzione 687/91, cioè il disarmo. Ma perché da quando vige l’embargo ha
continuato a spendere annualmente 5 miliardi di dollari in spese militari e
2,5 miliardi in costruzioni di grandi infrastrutture, fra cui immense
moschee e 50 edifici presidenziali. Se si fosse limitato a spenderne la
metà, coi soldi risparmiati avrebbe potuto acquistare tanto cibo e medicine
quanto l’Irak ne importava prima della guerra: prima dell’invasione del
Kuwait l’Irak spendeva fra i 2 e i 3 miliardi di dollari all’anno di
importazioni alimentari e 500 milioni in medicinali.

MITO 6: Il programma “oil for food” è insufficiente a dare una risposta ai
bisogni alimentari e sanitari degli irakeni: li stiamo facendo morire di
fame.

Anche questa tesi non è sostenibile. Le attuali entrate dell’Irak dalle
esportazioni di greggio hanno raggiunto la quota ante-guerra: 17 miliardi di
dollari all’anno. Il 72 per cento di questa cifra può essere spesa nell’
acquisto di cibo, medicine e altri beni con un meccanismo regolato dalle
Nazioni Unite. La disponibilità di calorie pro capite è passata da 1.300 del
1993-95 (fame nera) a 2.030 del 1997-98, a 2.400 nel 2000, che è una quota
accettabile dal punto di vista della salute. A non sfruttare appieno le
possibilità dello schema oil for food è il governo iracheno, che non ha
ancora impegnato 3 miliardi di dollari già stanziati dal fondo Onu e non ha
ancora speso 1 miliardo per prodotti già approvati. Nella prima metà di
quest’anno l’Irak ha speso il 75 per cento in meno rispetto al 2001 per l’
acquisto di medicinali, e ha deciso di spendere 25 milioni di dollari di oil
for food per la costruzione di uno stadio olimpico.

MITO 7: Bush è un petroliere. La guerra che gli Usa minacciano contro l’Irak
è nell’interesse dei petrolieri americani, che hanno bisogno del petrolio
irakeno.

Non è esatto: l’eventuale guerra all’Irak, una volta conclusa, porterebbe ad
un aumento del greggio disponibile sul mercato, e qundi ad un abbassamento
dei prezzi svantaggioso per i petrolieri, ma vantaggioso per i governi e gli
operatori economici. Gli americani guardano al petrolio iracheno piuttosto
per ragioni strategiche: vogliono ridurre la loro dipendenza dall’Arabia
Saudita.

MITO 8: Nel mondo ci sono tanti dittatori che violano i diritti umani,
Saddam Hussein non è il peggiore.

Per molti aspetti le crudeltà del regime di Saddam Hussein sono fuori dal
comune. È l’unico dittatore della storia ad aver ordinato l’uso di gas
nervino contro civili disarmati (non solo ad Halabja, ma in molte altre
località curde). La campagna contro i curdi fra il 1987 e il 1989 causò fra
i 100 e i 200 mila morti, in maggioranza civili. La repressione contro le
insurrezioni del 1991, dopo la fine della guerra del Golfo, causò 20 mila
morti fra i curdi e tra i 30 e i 60 mila morti fra gli sciiti del sud.
Benché proibita per legge, nelle carceri e nei commissariati iracheni la
tortura è praticata abitualmente. Le torture includono: strappare gli occhi
ai prigionieri, immergerli in vasche di acido, mutilare le dita di mani e
piedi a colpi di arma da fuoco, violentare le donne di fronte ai mariti e ai
figli, immettere oggetti roventi negli orifizi del corpo umano, provocare
fratture ossee, dare fuoco agli arti di una persona, perforare parti del
corpo con fili elettrici. Torture sono praticate anche sui bambini (occhi
strappati, ossa spezzate, neonati privati dell’alimentazione) per
costringere i genitori a confessioni. Reparti delle forze di sicurezza sono
incaricati dello stupro delle donne dei nemici, e i servizi segreti inviano
agli oppositori all’estero videocassette contenenti le immagini dello stupro
di donne appartenenti alla loro famiglia. Negli ultimi vent’anni si calcola
che 200 mila persone siano scomparse dentro ai gironi infernali delle
prigioni irachene. Nei penitenziari viene praticata la fucilazione senza
processo dei prigionieri: per esempio nella sola prigione di Abu Ghraib nel
1984 furono fucilati 4 mila prigionieri politici. Decreti del Consiglio di
comando della rivoluzione stabiliscono pene come il taglio delle orecchie e
il marchiamento a fuoco per reati penali, la decapitazione per tutti i reati
legati alla prostituzione (spesso usati per colpire oppositori politici) e
il taglio della lingua per il reato di diffamazione del capo dello Stato.